venerdì 24 febbraio 2012

noi che non abbiamo tetti













Massimo Palumbo è architetto, artista, teorico ed operatore culturale e tutto ciò anima la sua produzione incentrata su una accorta ricerca dei materiali impiegati e al tempo stesso tesa verso l’idea dell’infinito. Nel microcosmo di ciascuna delle sue opere Massimo Palumbo racchiude infatti quel macrocosmo della Natura che costantemente alimenta il suo linguaggio capace di comprendere frammenti di oggetti e porzioni di vita, e di spaziare dalla scultura alla installazione, dall’Arte Ambientale alla Public Art.
I motivi ispiratori della sua ricca produzione sono le città con la loro storia, le loro strade e le loro piazze ma soprattutto, come più volte notato nel corso della sua carriera da critici e curatori, la Natura.
Emancipandosi dai limiti territoriali è al territorio stesso ed alla città che Palumbo ama volgere il proprio sguardo perché, come sottolinea Lorenza Cariello, ha appreso da maestri come Maurizio Sacripanti e Bruno Zevi “la necessità che l’esperienza dello spazio architettonico si prolunghi nello spazio urbano” e, come affermato dall’artista stesso in occasione dell’intervento urbano La fiamma del carabiniere realizzato a Latina in memoria dei caduti di Nassyria, si rivela fondamentale “andare nella direzione di una città unitaria che rifiuta l’idea e la pratica della città dei recinti”. La ricerca estetica e l’equilibrio formale che caratterizzano i suoi interventi si caricano quindi di implicazioni politiche, sociali ed etiche. 
Interventi site-specific come Il dardo vìola, opera realizzata nel Parco Ranghiasci in occasione della “XXV Biennale di Scultura di Gubbio” del 2008 ed installazioni ambientali come … Un naufragio ci salverà, presentata nel 1995 all’interno di una chiesa sconsacrata nel centro di Sermoneta, creano una reciprocità tra l’intervento artistico e il contesto in cui esso si sviluppa instaurando un significativo coinvolgimento fisico ed ideologico che chiama in causa anche il fruitore dell’opera e fa sì che artista, spazio urbano e ambiente naturale non possano più prescindere l’uno dall’altro.
In questi anni Palumbo non si è limitato ad elogiare o descrivere la Natura; ascoltandola e dialogando con essa, ne è diventato l’architetto. E il Museo all’aperto “Kalenarte” che opera in sinergia con la “Galleria Civica d’Arte Contemporanea Franco Libertucci” di Casacalenda è la viva e pulsante testimonianza di questo impegno che costantemente si rinnova e del desiderio di condividere l’arte con la comunità destinando alla fruizione pubblica le opere realizzate da noti artisti nazionali ed internazionali.
Grazie alla passione e alla guida dell’architetto-artista Palumbo in venti anni di attività “Kalenarte” ha prospettato uno scenario inedito per il Molise e ribadendo la centralità del ruolo della Natura e dell’Arte nella società contemporanea si è affermato come snodo per la cultura, luogo di incontro per le idee innovative, incubatore di progetti per la società. 
Gli esiti della ricerca raffinata e sperimentale di Palumbo sono assimilabili alla riflessione sviluppata nell’ambito di correnti come l’Arte Povera e il Minimalismo. Dal suo esordio ad oggi l’artista ha posto al centro della sua indagine neo-concettuale temi come il fare arte e l’essere nella società rimanendo al di fuori di un sistema.
Nelle opere caratterizzate da un efficace linguaggio di tipo minimalista come nel caso de La scacchiera, intervento urbano realizzato nel 1992 per la Piazza Pertini di Casacalenda, Massimo Palumbo celebra attraverso la geometria seriale l’importanza della riflessione nell’arte. Sviluppa un procedimento analogo con la significativa serie I Bianchi, work in progress avviato alla fine degli anni Ottanta che, a partire dalla superficie bidimensionale opera una riduzione alla struttura elementare del quadrato ed induce il fruitore a guardare “oltre” le opere stesse e ad approdare al pensiero ad esse sotteso.
Le tele di Massimo Palumbo sono libri in cui, analogamente all’operazione compiuta da Emilio Isgrò, cancellare e accennare soltanto; sono campi di battaglia attraverso cui affermare la dimensione etica dell’arte o denunciarne i luoghi comuni e le banalità; sono fogli bianchi in cui trattenere la dimensione della quotidianità attraverso giornali o altri oggetti comuni ed infine sono semplicemente tele che, accolta la lezione del Disegno Geometrico di Giulio Paolini, svelano l’arte con i suoi strumenti ed i suoi inganni.
Palumbo utilizza materiale di vario tipo come legno, ferro, stoffa, rame ed oggetti di recupero e, valicando i confini dei singoli linguaggi e delle molteplici espressioni artistiche che abbracciano anche il design e la performance, si è affermato come artista poliedrico e originale.
Si inserisce magistralmente nell’ambito di questa ricerca “…noi che non abbiamo tetti…”, personale di Massimo Palumbo ospitata in due luoghi simbolo della città di Latina, il Teatro Comunale e il Palazzo della Cultura, e presentata nell’ambito delle manifestazioni promosse da MAD Rassegna d’Arte Contemporanea a cura di Fabio D’Achille.
La nuova prova artistica di Palumbo si sviluppa in aperto dissenso con quanti semplicisticamente e superficialmente sostengono che la cultura non possa rappresentare una risorsa economica e ribaltandone il punto di vista propone l’installazione “mangiamo cultura, con la cultura si mangia…”.
L’intervento, ospitato all’interno del foyer del Teatro Comunale Gabriele D’Annunzio, prevede l’installazione lungo il pavimento a marmi policromi di un segno metallico a nastro dalle dimensioni di 0,60x6,00 cm sul quale disporre una serie di vassoi con pane e testi letterari. L’accostamento pane/letteratura rende esplicito l’invito a fruire la nuova installazione di Massimo Palumbo, ma anche a nutrirsi dell’arte intesa come patrimonio e occasione di crescita ed è, al contempo, un sottile rimando – finemente sottolineato dalla presenza dell’attrice e performer Elisabetta Femiano coinvolta nella lettura dei brani scelti dall’artista – a un ben preciso filone dell’arte contemporanea che si sviluppa dagli happening all’arte relazionale.
In occasione di “mangiamo cultura, con la cultura si mangia…” il Palazzo della Cultura di Latina dedica a Massimo Palumbo la mostra “…noi che non abbiamo tetti…”, personale che abbraccia sia l’intensa produzione degli anni Novanta sia gli ultimi lavori dell’artista. “…noi che non abbiamo tetti…” diventa così un momento di approfondimento della ricerca di Massimo Palumbo all’interno della quale tracciare un percorso, coerente e continuo, che si estende dalle opere ancora fortemente attuali spegniamo la luce, l’aria è irrespirabile e …Un naufragio ci salverà alle più recenti calips, la serie che utilizza come materiale privilegiato le cortecce di eucalipto care all’artista in quanto espressione della Natura, “cambio di stagione…quando?” ed “eppurepesa” nelle quali l’ironia lascia il posto alla riflessione.
È in questo modo dunque che le opere di Massimo Palumbo diventano viaggi e la sua indagine artistica un continuo esplorare la sempre più necessaria dialettica tra architettura, arte e ambiente e le possibilità dell’Arte come motore per la società e la comunità.

Cristina Costanzo
Storico e Critico d'Arte

30.01.11.