mercoledì 2 settembre 2015

Pensiamo di essere gli unici a parlare,


“Pensiamo di essere gli unici a parlare, ma io sono convinto che ci sia uno scambio: i luoghi ci danno energia, sensazioni, ricordi, creano situazioni in cui possiamo lavorare, rilassarci, sentirci bene o male. E per come la vedo io, questa è una forma di dialogo. Le città influenzano le nostre azioni e i nostri pensieri, i nostri atteggiamenti e, persino, il nostro comportamento sociale: ci influenzano più di quanto, probabilmente, siamo disposti ad ammettere”.
Wim Wenders


Dopo il successo di “Noi che non abbiamo tetti”, Mostra che ha avuto luogo presso la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Latina, Massimo Palumbo si ripropone con “Vivi”, Personale, a cura di Cristina Costanzo, che vede l’Artista cimentarsi con formule, strumenti e realtà dai contenuti creativamente dialettici - e proprio per questo pregni di una loro suggestiva  originalità - presso i Cantieri Culturali della Zisa, un tempo sede delle famose Officine Ducrot.

C’è da dire, a tal riguardo, che da oltre un trentennio Massimo Palumbo si dedica, e non solo da un punto di vista architettonico, ai rapporti ed ai legami che intercorrono tra organizzazione sociale e midollo urbano, tra oikos ed assetti spazio-temporali, considerati, questi ultimi, sia nei loro processi sincronici che nel loro divenire diacronico. Al centro della recherche ovviamente c’è l’individuo, inteso quale componente imprescindibile dei vari assetti socio-culturali e, conseguentemente, il cittadino che diventa così il fruitore ed, al contempo, il “testimone” di loci e di installazioni, di nicchie e di performances, di riflessione critica e di consapevole  partecipazione interpretativa.
Uno degli scopi primari di Massimo Palumbo è, peraltro, quello di abbattere steccati, valli e recinti che in effetti imprigionerebbero la civitas in un’oscura ed asfittica medioevalità di ritorno, pur concedendo poco, in tale operazione, ad un’invisibilità o ad una transustanzializzazione metaforica di stampo, ad esempio, calviniano; così è ne La fiamma del carabiniere, opera realizzata a Latina in onore delle vittime di Nassyria.
Ritornando a “Vivi” si può dire che tale Personale rappresenti quasi una sfida per l’Artista, volto com’è ad esplorare le stesse condizioni esistenziali dell’ uomo. E gli interrogativi non sono meno inquietanti di quelli proposti, ad esempio, da un Sartre, di un Ungaretti - a cui per molti versi il Nostro è assimilabile - o dallo stesso Virgilio allorché descrive, nell’Eneide, l’angosciante “arborificazione” di Polidoro, figlio di Priamo. Chi siamo? Qual è il nostro destino, ma, soprattutto perché viviamo? Queste sono le domande che si pone Palumbo e le cui risposte sono di fatto “fornite” da un excursus che va da Il caldo vento del ’68 ( il passato dei padri) a I Bianchi, work in progress (in cui, in seno alla bidimensionalità del quadrato, irrompono sinergicamente moduli e stilemi tratti dall’ esistere quotidiano) e via via Polvere, Calips, Paesaggio in verticale, Dimenticare Sarajevo etc.
La visione integrale e, saremmo tentati di dire, olistica - pur nella sua“specificità topologica” - dell’Artista la troviamo anche  in altre due opere, vale a dire: Il dardo viola, realizzata nel Parco Ranghiasci in occasione della “XXV Biennale di Scultura di Gubbio” del 2008 e Un naufragio ci salverà, un’ originale installazione presentata nel 1995 in una chiesa sconsacrata di Sermoneta. Del 1992 è, invece, La scacchiera, una creatio dalla coinvolgente geometria minimalistica prodotta per Casacalenda ed in cui il destinatario dell’opus artistico  diviene quasi parte  di un processo di simbiosi deduttiva in seno all’opera stessa.


Il minimalismo del Palumbo è, altresì, il filo d’Arianna che ci fa da guida lungo il suo lungo itinerario artistico; e ciò insieme alla sua indiscussa empatia per l’Arte povera (anche a livello di design), testimoniata dall’impiego di materiali quali ferro, legno, rame, stoffa, oggetti di recupero e così via.
La Weltanschauung neo-concettualistica di Massimo Palumbo ha fatto sì, insomma, che il microcosmo, nello stesso tempo riflessivo e creativo, sfociasse nell’ermeneusi di quel macrocosmo oggettuale fatto di “prodotti” urbanistici e di inventiones architettoniche, di estetiche ambientali reinterpretate secondo una poetica dal gusto, in ogni caso,  zetetico e di espressività corale non aliena da referenti politici e da suggestioni etiche. Vera pietra di paragone dell’arte palumbiana è, in sostanza, quel felice ed organico assemblamento tra Public Art ed Environment Creativity, tra teoresi, diremmo quasi noetica, e prassi “escavatrice” del manufatto urbano ed ambientale, che, appunto, in quanto vissuto e, perché no, (ri)visitato dalla presenza umana, diviene momento dialogico e di confronto ai fini di un’estetica tale da restituire al concetto di civilitas il suo autentico significato originario di “voce” della comunità!
Concludendo, quello che ci colpisce di più in “ Vivi” è la tensione morale di cui è permeata, sotto tutti i profli, l’opera del Palumbo il quale attua, in tal senso, un mirabile recupero focale e motivazionale delle radici stesse del nostro vivere. Quest’ultimo non è infatti “azione in movimento” (o solo questo) ovvero meccanicistico ed anonimo problem solving. Il “vivere” palumbiano è, al contrario, Esistenza fatta di Esperienza ed Emozioni, di Partecipazione e Solidarietà umana, di Arte e Libertà!
Marisa Spironello



 25 settembre 2015
PREMIO "Oasi d'Arte-Art's Oasis"-Prima  edizione  Petrosino (Tp)
 

buon vento...
un antico augurio per i marinai che, navigando a vela, avevano bisogno di un buon vento per i loro viaggi e spostamenti ma, metafora ed augurio per noi tutti e per le genti di Petrosino nel caso particolare.
Un gesto semplice, un foglio di carta da piegare, quasi un origamo, a rappresentare  l'eterno ciclo vitale che il rispetto delle tradizioni mantiene vivo: il microcosmo di Petrosino, la sua storia. Un gesto semplice per un segno forte da porre in essere sul Lungomare Biscione, area Piattaforma.  La Piattaforma da dove spiccherà il volo il nostro foglio di carta piegato e ripiegato. Si è scelto questo sito perchè meglio ci è sembrato possa rappresentare la volontà di valorizzare  l'ambiente naturale di Petrosino ed il rapporto con il mare nella logica di poter sempre più esaltare la qualità dello spazio preso in considerazione. Due grandi vele in lamiera stirata trovano punto di ancoraggio a pochi metri dal lembo in cui il terreno va a degradare verso il mare. Le vele assumono una notevole forza ed impatto visivo per chi andrà a passeggio sul lungomare Biscione e tale area assumerà punto di riferimento e luogo d'incontro. Disposti a semicerchio, a sottolineare la presenza forte del segno posto, sono collocati a raggiera 5 blocchi in pietra a mo' di basi su cui potersi sedere e lanciare lo sguardo verso... la vicina Africa. 
In questa fase non è prevista una particolare pavimentazione. In una prospettiva poveristica e minimale, il luogo ha già ridisegnato un proprio carattere. Siamo convinti che il rapporto tra città e l'arte può essere una buona chiave di lettura che accompagni un territorio nel processo di riqualificazione urbana partecipata. Arte come riscatto sociale, rispetto al deserto culturale delle città contemporanee, molto spesso periferie anonime, fatte di vuoti urbani e luoghi pubblici non luoghi.
Petrosino buon vento...!  e l'occasione questa, per un territorio dalle grandi valenze agricole, ad aprirsi alla cultura del mare... presente da sempre.
massimo palumbo