Martina Zeherenthofer
Intervista Massimo Palumbo su su Angiolo Mazzoni
Martina Zeherenthofer:
la figura di Mazzoni, mi sembra sia alquanto contradittoria e confusa...o almeno questa è l' idea che mi sono fatta su di lui;
Massimo Palumbo:
In effetti penso di poter condividere quanto dici
MZ:
non riesco a capire il suo rapporto col futurismo esaltato da Marinetti in maniera esagerata,
MP:
Esagerata era l’esaltazione di Martinetti, infatti penso che a tutt’oggi non si capisce quanto la ricerca di Mazzoni possa essere considerata con l’aggettivo futurista, tenendo presente che il percorso professionale e dei risultati sia stato quanto meno contraddittorio. È nella composizione degli stili dal modo di intersecare gli elementi compiuti delle diverse poetiche che emerge l’aspetto più interessante ed originale della sua produzione architettonica: la secessione viennese, la scuola di Amsterdam convivono con le suggestioni di Sant’Elia, sono questi gli elementi che contribuiscono al progetto mazzoniano.
Dall’insegnamento di Gustavo Giovannoni risale la curiosità per l’architettura di Hoffman e di Olbrich. Di fronte però ai primi incarichi come tecnico delle Ferrovie dello Stato, quelle architetture della finis Austriae, quei sogni giovanili, lasceranno il posto alle austere superfici in mattoni di Berlage, di Bonatz e di Scholer. E sarà l'Hoffmann della Vienna Rossa e non del Padiglione austriaco dell'Esposizione di Roma (1911) che emergerà negli edifici postali o nelle stazioni ferroviarie.
Nel 1927 Mazzoni codifica, in un saggio su «Architettura e Arti Decorative», una serie di norme per il rinnovamento funzionale dell'edificio ferroviario, un tema le cui implicazioni di carattere estetico riguardano la necessità di costruire «un insieme armonico» di edifici, «un'unica concezione architettonica», capace di legarsi alla «natura circostante». Stoccarda e Helsingfors sono, tra l'elenco degli edifici riportati, gli esempi per lui più validi: le loro strutture verticali divise da ampie pareti vetrate rimandano alla monumentalità degli edifici industriali, che in quegli anni tanto interesse suscitano tra coloro che affermano il moderno in architettura.
Il 1 febbraio del 76 a proposito del futurismo Mazzoni scrive……………..
1 Febbraio 1976
Nelle trasmissioni della Radio e in quelle televisive dedicate al " futurismo " non sono ricordati il mio nome i miei progetti né le mie costruzioni in cui la essenza del futurismo manifesta e ciò nonostante gli articoli di F. T. Marinetti nella " Gazzetta del Popolo" nei quali opere mie sono esaltate come manifestazioni futuriste, lo scritto del Fillia nel quale sono messe in evidenza la uguaglianza dei fini artistici del Le Corbusier e miei e la diversità del nostro modo di creare architetture, il libro di Enrico Crispolti " Il mito della macchina e altri temi del Futurismo ", l' ironia di Ugo Ojetti sul mio progetto definitivo della stazione di Siena, il numero di " Controspazio” dedicato al futurismo, quanto a me si riferisce nel libro del Patetta "L’architettura in Italia - 1919/1943 - Le polemiche" , l’ articolo del Severati in "L'Architettura" dell' aprile 1975 dedicato alla stazione di Siena .
Simili dimenticanze e il notare - quando in dette trasmissioni si parlava di architettura futurista - che erano citati solamente il Sant' Elia e il Chiattone mi hanno portato a dare più esatto e maggiore valore all'avere Lionello Di Luigi, parlando delle vicende della stazione fiorentina, dimenticato che mi fu assegnato uno dei quattro secondi premi di pari merito, lo scritto di Maurizio Calvesi " Il futurista Sant' Elia” , il libro di Giovanni Klaus Koenig L’Architettura in Toscana - 1931/ 1968 " nel quale non cita le mie costruzioni in terra toscana indubitatamente futuriste per il loro impeto colmo di modernità, l'articolo del Tirincanti incluso da “ Il Messaggero" nella cronaca dell’incendio del corpo frontale di Roma Termini avvenuto nel 1967 , articolo nel quale si dice che “quel pover uomo di Mazzoni era andato a morire nel 1948 nell’ America del Sud " …………
MZ:
quello col fascismo
MP:
Era un funzionario dello stato e non poteva tirarsi indietro, la sua su un piano squisitamente professionale non era una figura di secondo piano
MZ:
e soprattutto il rapporto che aveva con gli altri architetti a lui contemporanei...
MP:
Penso, e non c’è da meravigliarsi non fosse ben visto dagli altri architetti a lui contemporanei... lui ha lavorato e lavorato molto, inoltre per certi aspetti è stato il committente di se stesso, e queste erano motivazioni che non potevano portargligli particolari simpatie…..
MZ:
in una lettera che scrisse a Bruno Zevi, riferisce di essere stato costretto ad iscriversi al Partito, ma mi sembra alquanto strano che nel 1922 una persona venisse obbligata ad iscriversi al partito fascista (la maggior parte degli altri architetti si iscrive appena nel'36).
MP:
È questo il periodo, in cui rientrato dal Sudamerica lavora per costruire, una sua immagine spendibile nei confronti del mondo Culturale e Accademico Italiano. Di suo pugno scrive un’autobiografia. Comincia a rimettere in ordine il puzzle dei tanti lavori, ma anche dei tanti rapporti avuti durante il ventennio ed oltre ed è singolare pensare che sia stato costretto ad iscriversi al partito fascista.
E’ questo il momento in cui va alla ricerca di personaggi del mondo accademico italiano degli anni settanta con la speranza di una visitazione del suo lavoro ma anche di una valorizzazione. Cerca un approccio con Bruno Zevi che per quanto ne so rimase sul generico né si espose troppo, delegando ad un suo assistente, l’Architetto Carlo Severati il compito di analizzare un po’ più da vicino il lavoro di Mazzoni; everati pubblicherà su l’Architettura di Zevi alcuni articoli con foto dei lavori di Mazzoni ed in un certo senso apre per capire ed inquadrarne il lavoro.
Sempre in quegli anni Mazzoni ebbe modo di conoscere il prof. Forti di Firenze. Forti al contrario fu il primo a sposare la causa-Mazzoni e direi senza se e senza ma. Mise in contatto Mazzoni con il Prof. Enrico Crispolti che già da diverso tempo studiava il Futurismo Italiano. Si era già interessato di Depero e frequentava il museo di Rovereto quello che trent’anni dopo diventerà il MART.
Proprio presso questo museo, Crispolti a ridosso degli anni ottanta, verso il 1978-1979 farà spostare le casse dell’archivio Mazzoni, dalla casa di via Savoia a Roma dove Mazzoni viveva i suoi ultimi anni di vita in compagnia della moglie.
MZ:
Inoltre non capisco fino a che punto la sua architettura di "regime" fosse condizionata dal Partito o direttamente dal Duce,
MP:
Per quanto posso dire e per quanto lui stesso racconta e scrive nell’autobiografia redatta negli anni settanta, le opere ed i progetti erano sottoposte a pressioni di diverso tipo. Mazzoni gode comunque di una posizione di forza all’interno dell’ufficio lavori e progettazione e di conseguenza quando può tira fuori il meglio di sé. Ma la stessa cosa purtroppo sembra non essere possibile sempre, ed allora è costretto a cambiare e a proporre le soluzioni 1,2,3 ..A,B,C. e Mazzoni con disinvoltura cambia ed adatta il progetto.!!
MZ:
Mi sembra di aver capito che, essendo un architetto che lavorava per lo Stato, aveva molto più potere rispetto agli altri architetti
MP:
Non solo aveva potere in quanto era architetto dello stato e all’epoca era di grande prestigio lavorare per l’Amministrazione Statale ma come dicevo Mazzoni godeva di posizioni (oggi diremmo…. ”conflitto d’interessi” ) che lo portavano ad essere committente di se stesso.
MZ:
E per questo motivo non era visto di buon occhio da questi ultimi.
MP:
Penso che sia stato proprio così non c’è da meravigliarsi: accadrebbe anche oggi !!.
MZ
Mi piacerebbe conoscere un suo parere su questo personaggio che è sempre stato tenuto poco in considerazione dopo la sua morte e sul quale è stato scritto molto poco a mio avviso……..
MP:
Alcune considerazioni di tipo personale credo di averle già espresse, sono considerazioni che si sono strutturate nel corso degli anni, ed in particolare dalla fine degli anni settanta ad oggi. Credo di essere più sereno e più distaccato oggi rispetto a quegli anni quando, neo laureato e giovane architetto ebbi il privilegio di conoscere il vecchio Mazzoni proprio in via Savoia a Roma.
Erano per l’appunto gli anni in cui Mazzoni sentiva un bisogno frenetico di mettere ordine alle sue carte e al suo lavoro. Era polemico e si sentiva ……..perseguitato!!
Cercava sponde utili per lasciare di se un’immagine, su un piano culturale, il più possibile spendibile, in un momento in cui, superato il periodo degli anni 50-60 (in cui potevano ancora essere accesi sotto la cenere i carboni ideologici, degli strascichi fascismo-antifascismo).
Cercava forse un po’ di consenso sull’onda di un qualche interesse che cominciava a farsi largo proprio negli anni settanta tra architetti e professori di area romana su possibili riletture di opere realizzate in epoca fascista. Ed a Roma, Facoltà di Architettura, (in particolare in area di sinistra) erano diversi gli architetti che rileggevano in chiave libera da condizionamenti politici le architetture e quanto realizzato dal fascismo nell’urbanistica come nell’architettura.
Negli anni settanta ho avuto il privilegio di conoscere di persona e documentarlo su quanto stava accadendo a Latina, l’Architetto Angiolo Mazzoni. Lo visitai più volte, nel suo appartamento-studio di via Savoia a Roma .
Erano quelli gli anni in cui a Latina tra la totale indifferenza dei più, dopo essere stato semidemolito il Palazzo delle Poste (1964) si modificava la stazione ferroviaria.
Essere testimone nel 1977 di questa nuova manomissione, fece si che non si poteva rimanere indifferenti. Ci si attivò scrivendo e bussando ad enti, istituzioni, si informò la stampa locale e nazionale.
L’Ordine degli Architetti di Latina sollecitato dal sottoscritto, coglie l’occasione, e attraverso un documento manifesto fa…. “voti affinchè tutte le opere inquadrabili nel contesto su accennato siano inventariate per creare i presupposti di una tradizione locale di conoscenza e rispetto......”
Questa volta si parla di “rispetto”,di “tradizioni locali” di ”storia” e si pensa di “inventariare”.
La soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Lazio in una sua nota condivide pienamente le motivazioni di ordine culturale, ma aggiunge che “……….purtroppo, i compiti di istituto in applicazione dei quali tale salvaguardia può essere esercitata, non si applicano, stando alle leggi 1-6-1939 n° 1089 e 29-6-1939 n°1497, al caso presente e pertanto, non è possibile alcuna azione……..”
Altri ammettono che “…..non può non disconoscersi, che questo edificio come gli altri dello stesso periodo, e la stessa struttura urbana di Latina rappresentano una pagina interessante della storia che, appunto in quanto espressione di vicende dell’uomo, non può essere dimenticata……...”
Angiolo Mazzoni, sicuramente è stato progettista versatile e prolifico, accurato disegnatore di dettagli, competente nella scelta dei materiali ed efficiente nelle scelte delle tecniche esecutive, è l’artefice della produzione architettonica dell’Ufficio V, che non produce caratteri anonimi e convenzionali dell’edilizia burocratica.
Le stazioni e i Palazzi Postali realizzati in numerosi centri della provincia Italiana tra il 1925 e il 1930 recano i tratti di un eclettismo storicistico molto marcato e le opere in genere presentano un elevato standard qualitativo. Ed è sempre lui a dare l’impronta a quanto si produce nel ministero.
Della personalità di Mazzoni sicuramente ci resta un’altissima lezione di professionalità nell’operare architettonico e su quanto correntemente indichiamo come cultura del progetto. La sua creatività passava per una professionalità progettuale e realizzativa di grande spessore, una sapienza operativa volumetrica, spaziale con dimostrazione continua di grande conoscenza dei materiali.
Quando ho modo di conoscerlo, vive i suoi ultimi giorni di una vita ricca di esperienze, malato, ma molto lucido nei ricordi.
Si apre così tra il marzo e l’agosto del 1977 una fitta corrispondenza: uno spaccato vivo sia sul piano umano che su quello professionale. E gli sfoghi di Mazzoni ci fanno capire, che gli edifici di Latina non sono né gli ultimi ne’ i soli ad essere stati toccati. E’ un problema generale di costume e di “incultura”.
Da questa corrispondenza e dagli incontri avuti di persona nasce l’idea di una mostra sui progetti realizzati in Agro Pontino.
Mazzoni accetta con entusiasmo e collabora dando indicazioni e consigli. Due anni di lavoro per un gruppo di giovani Architetti e studenti di architettura, riunitisi per l’occasione in ” Gruppo di ricerca Storica “ in una città forse troppo sorda e poco incline a guardarsi allo specchio per conoscere la propria storia e le proprie origini.
Mazzoni naturalmente incoraggia verso questo lavoro e offre la possibilità di accedere al suo archivio oramai da alcuni anni donato su interessamento dell’architetto Alfredo Forti al Museo Depero di Rovereto ove era la sede del Museo del Futurismo Italiano. L’entusiasmo giovanile ci guidò, in una spola tra Latina e Rovereto.
Il 28 Settembre 1979 Angiolo Mazzoni muore. Un anno dopo nel maggio del 1980 nella sala conferenze del Consorzio dei Servizi Culturali in via Oberdan a Latina si apre la mostra su “Angiolo Mazzoni Architetto 1932-1942 dieci anni di attivita’ in Agro Pontino “.
Questa fu di sicuro la prima mostra sui lavori di Mazzoni realizzata in Italia, poi verranno le altre…..più importanti, il ghiaccio era rotto e da quei giorni ad oggi in tanti si sono interessati di Mazzoni cercando di scavare tra le ambiguità. A margine della mostra del 1980 a Latina, un convegno dibattito. Invitai e presenti gli Architetti Alfredo Forti e Carlo Severati, che in quegli anni erano gli unici in Italia oltre ad Enrico Crispolti, ad interessarsi del lavoro di Mazzoni. Ricordo che anche in quell’occasione Severati guardava Mazzoni con sospetto, Forti era più propenso a giustificare le ombre e i dubbi sulla valenza del lavoro Mazzoniano. A testimonianza di quanto fatto riuscimmo stampare un piccolo catalogo.
MZ:
Su qualunque testo del Fascismo si parla di Piacentini, Pagano, Muzio, Persico...ma su Mazzoni quasi mai………
MP:
In effetti rappresenta una figura tra le meno ascoltate del periodo fascista. Secondo me è il prezzo che la critica architettonica gli fece pagare per l’atteggiamento ambiguo e poco chiaro: un analisi attenta dei tanti lavori ci porta purtroppo ad imbatterci a situazioni eccellenti ma anche ad episodi di dubbia valenza a discapito di una coerenza complessiva che non può essere dimenticata né sottovalutata. E poi non dimentichiamo il sospetto dei liberi professionisti, nei confronti di quelli che operano con la copertura di una struttura statale pubblica. Oggi non è la stessa cosa?
MZ:
Infine le chiedo un'ultima cosa: lei forse conosce qualche notizia a proposito della Stazione di Roma -Termini?
MP:
No non ne sono a conoscenza. Sicuramente come per la stazione di Trieste puoi trovare nelle pubblicazioni del Mart
MZ:
In particolare riguardo alle varianti di progetto che vennero imposte a Mazzoni dal Duce, in seguito a dei colloqui?
MP:
No. non ne sono a conoscenza.
Naturalmente tra le risposte date a questa intervista alcune hanno riscontri precisi, altre sono opinioni personali che ho avuto modo di maturare nel tempo.
Latina 01.02.06