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sabato 2 febbraio 2019

silenziamo sgarbi














SILENZIAMO SGARBI : DIRITTO ALL' ARCHITETTURA 
GENNAIO 2019

mercoledì 15 febbraio 2017

mercoledì 7 ottobre 2015

tutto il resto...




....tutto il resto è spocchia.


Latina, via del Lido angolo via Nascosa, un cantiere non ancora concluso, un edificio  a prima vista particolare, un'operazione di grande sartoria, un cuci e scuci da maestri che sta a breve a concludersi.  L'edificio comunque è ben visibile, un intervento pulito, discreto nel panorama urbano della nostra città. Il tutto di una semplicità disarmante, ma segno, che si concretizza con grande forza espressiva. 

Poverismo ? minimalismo?.... sicuramente un'architettura robusta e leggera nello stesso tempo, architettura che presa in forti dosi farebbe bene alla città. Una città la nostra oramai senza testa, che sembra  incapace di ragionamenti da fare o da proporre.  
La Latina del 2015, sempre più un non luogo lasciato andare alla deriva. Tutti responsabili, nessuno escluso.  
L'intervento di Stefano Collina e di Silvia Mastrantoni racconta in chiave nuova il luogo, un edificio che fa parte di questa città, della sua storia  e la rilegge nel segno della contemporaneità. 
Segni puliti, ordinati, pareti stirate in una composizione cromatica che ricorda le esperienze più colte del novecento europeo.

Latina città del novecento, è città strana e difficile da decifrare. Di cose buone da tempo non se ne vedevano....superati gli anni della Littoria e delle città nuove con le tante contraddizioni stilistiche e non, dobbiamo tornare agli anni settanta, periodo felice, in cui buone professionalità e committenze intelligenti hanno avuto possibilità ed occasioni per esprimersi e lasciarci quelli che chiamavamo" episodi di architettura". Poi il vuoto e tante situazioni a creare imbarazzo, a volte sconcerto. Oggi poi, grazie agli strumenti urbanistici vigenti, torna utile il demolire e ricostruire e spesso capita che si demoliscono le poche cose buone esistenti per dare spazio a delle autentiche volgarità. Il contrario non era mai accaduto....e questo quando, le così dette rigenerazioni urbane, i rammendi, le ricuciture dei tessuti residenziali e non, dovrebbero avvenire solo e soltanto in questo modo. Introducendo qualità. Ci è scappato dire in più occasioni che Latina è più vecchia di Littoria ....ecco questo intervento di Collina e Mastrantoni su via del Lido ribalta il giudizio dato inserendosi a pieno titolo in un tracciato e in una continuità storica che l'appartiene....e risulta utile per andare oltre. 

Tutto il resto se non è ignoranza è spocchia.                                                                                                                    mp.
_______________

18.09.15







giovedì 7 maggio 2015

STAZIONE by Supervisioni di Davide Onorati



STAZIONE
by Supervisioni di Davide Onorati


 .....Il territorio pontino, sovente descritto dalla vicenda della bonifica integrale fascista, è antropizzato e trasformato da tempi remoti. La sovrapposizione degli episodi e la ripetuta incisione del suolo, hanno dato forma ad un palinsesto di scala territoriale.
Un territorio pontino quindi, narrato attraverso delle rappresentazioni fotografiche, dove gli elementi della scenografia sono al contempo protagonisti. Alcuni personaggi entrano in relazione con le architetture e le infrastrutture e i luoghi raffigurati, raccontando storie parallele, la cui possibile interpretazione è lasciata all’osservatore. Il campo lungo delle immagini apre una visione dell’ambiente complessiva e ampia. Una supervisione, in cui i vari elementi da soli si fanno carico di una sistemazione gerarchica all’interno della scena, mentre i personaggi ne divengono supervisori....
Davide Onorati
_____________________
 http://www.davideonorati.it

giovedì 14 marzo 2013

palazzo delle poste a latina




“ ……l’incuria,
l’ignoranza degli uomini. Un frammento……per non dimenticare ”.


Proposta progettuale per un Museo d’Arte Contemporanea,
ex Palazzo delle Poste di Angiolo Mazzoni
a Latina

“littoria-latina: ieri,oggi…..domani.”
1994
architetto massimo palumbo
 

 
"......L'odioso e infame crimine perpetrato nei confronti del bell'edificio della Città della Scienza di Napoli dimostra, casomai ce ne fosse ancora bisogno, che cultura e bellezza rappresentano un binomio che fa paura alla criminalità. Dimostra, altresì, come la buona architettura possa simboleggiare e rappresentare il riscatto di una città, di un quartiere, esprimendo le sue energie migliori e più positive, le sue speranze di rinascita....».

Così il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori sull'incendio che ha distrutto la Città della Scienza

giovedì 7 marzo 2013

rogo alla città della scienza a napoli








"......L'odioso e infame crimine perpetrato nei confronti del bell'edificio della Città della Scienza di Napoli dimostra, casomai ce ne fosse ancora bisogno, che cultura e bellezza rappresentano un binomio che fa paura alla criminalità. Dimostra, altresì, come la buona architettura possa simboleggiare e rappresentare il riscatto di una città, di un quartiere, esprimendo le sue energie migliori e più positive, le sue speranze di rinascita....."
Così il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori sull'incendio che ha distrutto la Città della Scienza


....sono veramente inquietanti le cose che accadono in questo paese!

6.3.13

lunedì 4 marzo 2013

palazzo comunale di casacalenda









Palazzo Comunale di Casacalenda
architetto massimo palumbo
 (1980-1988)
……….dalla relazione illustrativa del progetto. Stralci.
Quando gli Amministratori decisero di ristrutturare il Palazzo Comunale di Casacalenda, era il 1980, si pensò che era giunto il momento di intervenire adeguando l'intera struttura dell'edificio alle nuove esigenze partecipative dei cittadini; l'edificio costruito nei primi anni del 900, pur non essendo edificio di particolare valore architettonico, presentava alcune valenze che comunque si è creduto opportuno conservare e valorizzare.
Si pensò che una riorganizzazione dei servizi e una loro maggior razionalizzazione erano necessari per avere in prospettiva un diverso uso del palazzo comunale, un uso di tipo sociale da parte di tutta la cittadinanza.
La progettazione ha tenuto costantemente conto di queste volontà ed ha individuato proprio nel riuso dello spazio-corte interna al palazzo “il luogo principe" intorno al quale far ruotare tutte le altre attività e servizi (da quelli amministrativi a quelli di carattere culturale).
L'aula consiliare o spazio polifunzionale, è stato il punto di partenza per tutta la progettazione.
Analizzando i collegamenti ed i percorsi essa risulta centrale e integrata agli altri servizi, è godibile a due altezze diverse per poter favorire l'ascolto e la partecipazione di un numero maggiore di cittadini.
La ristrutturazione dell'edificio ci ha permesso inoltre di poter  raddoppiare i metri quadrati fruibili. Sono stati recuperati tutti gli spazi sottotetto, che sono risultati di notevole valore architettonico-spaziale.
L'intervento è stato rispettoso, dei volumi, degli spazi, dei materiali, cercando sempre….. il dialogo e un rapporto costantemente dialettico con i nuovi materiali e le nuove tecnologie ovunque fossero necessarie. Da qui l'uso e la contrapposizione del cemento armato e del legno, del ferro e della muratura, del vetro e del plexigas.
L’atteggiamento progettuale è stato quello che si ha nel rivisitare porzioni di città, togliere dove necessario, inserire per esaltare: il gioco sapiente….per poter fare architettura.
Il nuovo intervento allora risulta sempre leggibile e si contrappone rispettando il contenitore di sapore primo 900”. Il tutto risulta integrato in un unico organismo spaziale
La copertura dell’ aula consiliare in c.a. e la scala di accesso ai diversi piani del palazzo, in ferro e pietra, sono segni strutturali forti e leggibili nel contesto e realizzati con materiali poveri.
La presenza di un piano intermedio nell'aula ConsiIiare è giustificata sia da motivi di articolazione dello spazio interno sia da motivi funzionaIi (aumento della recettività dell'aula e sua possibile utiIizzazione per altri usi di interesse culturale).
Il percorso anulare di affaccio sulI 'aula Consiliare garantisce la non interferenza delle funzioni di questa con quelle degli altri ambienti, ma allo stesso tempo la caratterizza opportunamente come luogo centrale e simbolico del centro civico.
Proprio la tensione progettuale a dare a questo spazio centrale una forte caratterizzazione ha orientato il progettIsta per quanto riguarda la copertura verso una scelta integrata di forma e struttura, che differenziasse in modo deciso lo spazio centrale di nuova acquisizione.
Si rafforza così formalmente l'idea di centralità di cui si è espressa poc’anzi l'intenzione progettuale, evitando però mediante opportune scelte formaIi e funzionaIi (aperture e percorsi) la rigidità di un impianto simmetrico da un punto di vista spaziale.
La progettazione individua, nel riuso dei cortili interni all'edificio, i due luoghi di maggior partecipazione: da una parte l'Aula Consiliare, dall'altra il Museo Civico,con annessa biblioteca e Pinacoteca Comunale. La copertura é una struttura in cemento armato sorretta da quattro esili pilastri in ferro.
Anche per il museo civico, si é ritenuto opportuno legare le funzioni diverse (biblioteca, museo) e spazi per attività culturali, con piani integrati tra loro,a quote diverse. La copertura, in questo "Luogo",ha valore e significato diverso: le capriate sono in ferro e vetro……

“…….all’Architettura piace essere trasformata con cura ”
(Alvaro Siza), 
alcune considerazioni a margine del progetto….Un progetto bocciato dal geometra comunale
……… un occasione minimale, come altre per tentare di fare architettura, da vivere come momento irrinunciabile di poesia per un  luogo : uno spazio che deve dare emozioni.
………il plastico biancore mediterraneo, la luce, la leggerezza, lo spazio e il rapporto costante dell’uomo che vive il luogo: l’architettura sempre sottintesa come mezzo per amplificare l’azione dell’uomo, ed intensificare la sua esperienza quotidiana.
……… L’alzato e la pianta che vivono in continua tensione il pieno e il vuoto, spazi positivi e negativi
……. la semplicità, come dominio della complessità e delle contraddizioni , quando nello specifico una nuova struttura si confronta con quello che la precede e la circonda.
……………..il far si che anche operando intorno ad un architettura minima la sfida è sempre quella di rendere un senso di grandezza al tema progettuale che ci troviamo sul tavolo da disegno……

 “…………penso che il bello non sia una sostanza in se,
 ma solamente un disegno di ombre
 prodotto da un gioco di chiaroscuro ,
con la giustapposizione di sostanze diverse….. “
( Junichiro Tanizaki) 

1988





quinto premio lusana: premiazione











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Premiazione
PREMIO ERNESTO LUSANA Quinta Edizione
Latina 3x Garage Ruspi
12.12.12

Massimo Palumbo architetto
project team:
Stefano Benetazzo, Antonio Chiominto, Mauro Chiominto
consuling:
Sara Palumbo, Giacomo Ravesi.
Latina_Italy

Primo classificato è il progetto contraddistinto con il motto
"HANGAR 3.0" ( Arch. Massimo Palumbo ) che è stato prescelto dalla Commissione con la seguente motivazione:
" E' il progetto che,  nel suo complesso, risponde alle finalità del bando, in quanto rappresenta la soluzione architettonica ritenuta dalla Commissione fondamentalmente convincente.  La proposta, tutta condotta sul tema della costruzione del vuoto, connota Piazza del Popolo con elementi distintivi tipici della "città di fondazione", come ad esempio, i portici e gli spazi di relazione ben definiti in soluzioni che rimandano al linguaggio Metafisico. La proposta del progetto vincitore, sempre a parere della Commissione, interpreta alcune peculiarità di  "materiali innovativi" e di alta qualità  che costituiscono il valore aggiunto dell'idea progettuale: molto convincente è stata, infatti, la capacità di coniugare i temi della storicità del luogo con le possibilità offerte dalle nuove tecnologie in tema di comunicazione che permette al progetto di raggiungere una sintesi in equilibrio tra tradizione ed innovazione architettonica."___




sabato 2 marzo 2013

leonardo ricci, condividere


Condividere
 ……………..il ruolo dell'architetto. Una volta, quando mi capitava di frequentare i consigli comunali, mi chiamavano architetto, adesso magari mi definiscono un tecnico, e mi arrabbio.
Io non sono un tecnico, sono un architetto.
Con il termine «tecnico» si vorrebbe sottolineare un ruolo meramente esecutivo di idee che vengono elaborate da altri. Ma scherziamo? Non si tratta di orgoglio. In ogni disciplina esiste un ruolo creativo, spesso insondabile, che trova la soluzione all'altezza dei problemi. Che sia un matematico, che sia un calciatore che inventa un dribbling. lo sono un architetto, ma sono anche la gente e quindi ho il diritto e il dovere di capire, nella mia disciplina, quale sia quel piccolo passo avanti da compiere nel mondo sconosciuto dell'architettura, in quella porzione ancora sconosciuta dello spazio di cui abbiamo bisogno. Credo proprio che si debba trovare un registro nuovo, non un alfabeto, ma un linguaggio, il linguaggio dell'architettura.
Leonardo Ricci

venerdì 1 marzo 2013

secondo premio ernesto lusana





Perché il Concorso d’idee.
Abbiamo sempre pensato che la politica per la qualità dell'architettura è porre all' attenzione, non solo degli addetti ai lavori ma della società civile in genere e del mondo politico uno strumento in grado di garantire una reale concorrenza, fondata sulla qualità del prodotto: il concorso di architettura.
In Italia e  non ci stancheremo mai a dire,  si fanno ancora  pochi concorsi di idea di architettura.  Nella nostra provincia poi, escluso qualche caso molto, molto isolato, la cosa è molto più grave.
Credo non si sa neppure cosa siano, nel senso che vengono ignorati. Questo in un quadro generale ove per la realizzazione di opere pubbliche la Legge MerIoni invece l'istituisce come obbligo.
Malgrado la legge, non si tengono concorsi, mentre, contrariamente a quello che accade in Europa, si fanno  limitate gare di progettazione e non sempre anzi molto di rado, segue la realizzazione dell' idea premiata.
Le "idee" sono, la traduzione e la visibilità della cultura architettonica contemporanea. Il risultato di un concorso dipende da come è immaginato, definito e proposto, in relazione anche ad una chiara sequenza degli obiettivi e delle finalità, tradotte in atti concreti e perseguibili sotto il profilo strategico ed economico.Risulta pertanto  particolarmente importante riuscire a creare sinergie tra le istituzioni e gli organi competenti la gestione e la promozione del territorio.
Certo e di questo ne siamo convinti, Il concorso non è il toccasana dei problemi legati alla crescita  delle città, ma è evidente che la qualità dell' architettura è anche da ricercare con il confronto che  alimenta la competizione e la volontà di produrre architettura di qualità.  I concorsi e le idee sono utili per far emergere buona architettura e costruire città miglior.Da troppo tempo invece la qualità architettonica in Italia è considerata un qualcosa di superflo, quando invece si sa che un' opera di architettura oltre a rappresentare un valore etico per la società è un bene sociale e un  investimento capace di riqualificare brani di città.La bellezza quando c’è non è solo un valore estetico, ma per la città diventa anche un valore economico che si traduce in valore aggiunto e in un investimento per il futuro.
Cosa invece risulta diffuso tra le amministrazioni pubbliche oggi, in  risposta alla legge Merloni. Il concorso-gara, che come sappiamo altro non è che come sedersi al tavolo di una roulette, come la definiva un nostro collega. Una gara che avviene per selezione di curricula, fatturato, ed altro,  dove a vincere,  vince chi ha più vinto e raramente riesce ad inserirsi chi non è di gradimento dell’Amministrazione; i bandi naturalmente vengono predisposti con elementi di selezione che a monte caratterizzano “il Prescelto”.   
In un quadro del genere appare quasi eroico inseguire concetti elementari, parlare di architettura, pensare addirittura alla bellezza! Ma il nostro intorno è fatto di questo e di tante altre contraddizioni.
Siamo convinti che il concorso d’idee è il sistema più corretto per raggiungere risultati di qualità architettonica e progettuale. Bisognerebbe creare delle alleanze tra pubbliche amministrazioni, imprenditori, architetti, e cittadini per rilanciare l’immagine delle nostre città e del territorio più vasto inteso come paesaggio.Un tavolo, uno sportello aperto come si direbbe oggi per altre iniziative, per trovare gli incentivi i programmi gli investimenti giusti che siano capaci di riportare al centro del processo edilizio, il progetto di architettura, la procedura dei concorsi, la qualità e l’innovazione degli interventi.
Perseguendo scenari di questo tipo, abbiamo trovato sinergia con la Camera di Commercio di Latina, che con noi ha condiviso gli obiettivi di questo Concorso.
Attraverso il Bando del Concorso, così come strutturato, abbiamo chiesto progetti innovativi, sul piano della ricerca architettonica e della sperimentazione. Era anche quello che si richiedeva, in occasione del primo premio Ernesto Lusana, e pensiamo possa ancora essere considerato il punto di partenza per questa seconda edizione. Abbiamo pensato ad un Premio d’Architettura che si apre alle molteplici possibilità e che offre il metodo del Concorso di progettazione, metodo, troppo poco conosciuto e troppo poco usato dai nostri amministratori. Come obiettivo abbiamo la qualità e l’innovazione negli interventi, capaci di ridare vivibilità e bellezza alle città per valorizzare anche con interventi minimali lo straordinario patrimonio delle nostre città.  
Pensiamo al concorso d’idee di progettazione e sia convinti che sia sempre “tempo” per cominciare e  di indagare, per offrire anche spazi di possibilità a chi queste occasioni le trova con difficoltà. Vogliamo  essere irriducibili nel pensare, che sia sempre “il tempo” di porre attenzione al progetto, alle idee, e ……quando capita, alle occasioni e agli avvenimenti che a volte riescono ad aggiungere “valori” agli orizzonti troppo spesso stretti, delle realtà che fanno il nostro quotidiano.
” promuovere il progetto d’Architettura”
E’  quanto si impose il consiglio dell’Ordine degli Architetti di Latina nel sostenere,  l’idea  del Premio Ernesto Lusana. Era per  ricordare un amico ed un architetto, Ernesto Lusana che tanto aveva dato all’Architettura come etica di valori che durano nel tempo, ma ci interessava anche  istituire a cadenza biennale, un premio d’architettura per sollecitare progetti nuovi e  innovativi capaci di valorizzare anche il senso della nostra contemporaneità .
Un Premio che fosse occasione periodica e cadenzata per discutere di Architettura e delle diverse tematiche ad essa collegate, ma anche  per avere momenti di discussione tra quanti hanno a cuore la sorte delle nostre città, degli ambienti e dei luoghi in cui viviamo. Gli architetti  sono coscienti del ruolo che  rivestire l’architettura per migliorare l’ambiente. L’architettura è un bene di tutti, un bene della società  anche perché può e deve  rappresentare  il punto di equilibrio fra lo sviluppo economico e la salvaguardia dell’ambiente
La prima edizione, ha visto nel celebrare il trentennale della costituzione del nostro ordine, una grande mostra e la consegna del Primo Premio d’Architettura  a progetti meritevoli di colleghi iscritti all’Ordine e che operano sul nostro territorio.
Una attenta riflessione di quanto è stato fatto, ci ha portato a considerare, che forse era maturo il tempo per un salto di qualità nel considerare il premio occasione da non perdere per aprire ad un concorso di respiro nazionale e verificare il progetto d’Architettura in un contesto e in un area ben individuata della nostra città. E’ stato così individuato  un tema di grande rilievo per la città e un area centrale del centro storico di Latina, un area irrisolta, fa da base a questo Concorso Nazionale d’Idee: l’area delle così dette Ex Autolinee.
L’ obiettivo, condiviso da quanti hanno voluto il Concorso è stato anche l’acquisizione di idee progettuali relativamente ad un area centrale del “centro storico” di Latina, teso anche ad individuare proposte mirate a sviluppare “il gusto di vivere la città” nonché a migliorarne la fruizione sociale ed economica.
L’augurio  che in questo momento ci sentiamo di fare, è che dal Concorso possano essere usciti contributi di novità e di qualità attraverso l’elaborazione di progetti innovativi, sia sul piano della ricerca architettonica e della sperimentazione, capaci di esprimere nuove sensibilità e  rappresentare  nuovi linguaggi,  nonché occasione per  indagare sulle potenzialità nei rapporti tra Architettura e Arte così,  come il Bando chiedeva e  auspicava..

 “……oltre il nonluogo,
ipotesi progettuali per uno spazio urbano di una città del novecento:
Latina…..”

Luogo, nonluogo, un concetto di alcuni anni fa che attende risposte e che al di la delle mode,  è parte di una problematica generale tutt’ora di grande attualità per il territorio italiano e che per quanto riferito al contesto della città di Latina pensiamo possa essere colto come valore-nonvalore, da studiare e capire ulteriormente
Giorgio Muratore alcuni anni fa a Latina in occasione della manifestazione Arcipelaghi d’Architettura diceva :
 “........effettivamente il problema del non-luogo, del caos, ........è un problema che qui si sente e c'è…. Cosa c'è più di non-luogo di questo posto, che prima era la pianura piena di zanzare, tremenda, poi dopo è stato il fiore all'occhiello degli anni 30-40, però è durato poco perché………. poi l'hanno dovuto subito nascondere, e quindi è diventato un non-luogo perché tutto il dopoguerra è stato segnato dal fatto di cancellare quell' orrendo luogo che era stato costruito negli anni trenta, e quindi era un non- luogo”.
Noi per dare senso e continuità al nostro lavoro abbiamo dato seguito a questa traccia pensando, come provocazione, di poter anche andare “oltre”. Nasce così il Concorso d’idee. Vogliamo sperare come inversione di tendenza, che questa  del Concorso d’Idee, non sia per Latina, per la nostra città,  un occasione unica ed irripetibile per proporre contribuiti e idee utili a ricucire quel vuoto e dare significato ad un spazio  irrisolto. Pensiamo invece che Latina, e il nostro territorio hanno bisogno di tante occasioni di questo tipo, e di  tanti interventi di microchirurgia come direbbe Francesco Moschini,
”…….. forse siamo in grado di ricostruire un senso del luogo a partire dalla rilettura stessa dei luoghi, come ci è stato insegnato da sempre a scuola, ma ne abbiamo perso probabilmente la memoria. Allora tra l'eccesso di progettuaIità della piazza brunelleschiana, e il rapporto con il luogo della piazza seicentesca, pensiamo alla dimensione della piazza metafisica……….., ecco credo che vada ritrovato il senso del rapporto con l'idea di microlettura…..”
Interventi nella città per ricucire porzioni di città, per legare Latina a Littoria o Littoria a Latina, ma anche  per ridare dignità alla marina, a porzioni urbane centrali, e a periferie, che non hanno alcuna voglia di rimanere tali. Periferie e dormitori senza anima che invece chiedono servizi e dignità da cittadini, periferie che vivono nel nulla e che hanno voglia di luoghi, di simboli di nuovi segni.
E’ sempre  il momento di andare “oltre”, di uscire dalle secche, di lavorare per la crescita di questo territorio; è il momento di rompere gli schemi e di essere propositivi.
“Oltre”……. per fare quadrato, non per una ennesima rifondazione, ma seguire comunque la storia di questa città, che comunque e a dispetto di noi tutti che la viviamo, va verso il suo destino. Il futuro di Latina fatto da chi la vive giornalmente e che per quanto riguarda il nostro ambito specifico di architetti, è un futuro comunque rappresentato dai nostri “segni”.
Franco Purini sempre in occasione di Arcipelaghi d’Architettura aggiungeva :” …….io ho l'impressione che Latina e il suo territorio siano giunti a un momento di svolta,' un momento di svolta che corrisponde a una situazione molto critica, ma anche a una condizione di, come dire, di grande privilegio nei confroniti del contesto delle città italiane. Spazi aperti collettivi, bene, non c'è spazio aperto collettivo di scala geografica più favorito, in Italia, forse, dopo la pianura padana, della pianura pontina. cioè noi possiamo leggere questo spazio considerando la pianura pontina come, minimamente, il più grande luogo collettivo di metà della penisola italiana. E un luogo collettIvo che è dotato di strutture straordinariamente efficienti, che ha raggiunto un punto critico di densità oltre il quale, ovviamente, nasceranno tutta una serie di problemi insoluti, ma a questo punto non è stato ancora raggiunto……
……Latina è una città, assieme ad altre nella pianura pontina, che ha il nuovo come antico, e quindi si trova in una condizione di assoluto appunto privilegio nei confronti di molte altre città italiane. E quindi sul piano del rapporto col nuovo come antico può insegnare molte cose alla cultura progettuale italiana e non solo…
……. La periferia di Latina, ovvero la città di Latina ha un tono, per così dire, urbano, un tono diciamo di civiltà insediativa che, non solo si è conservato, ma secondo me ha subito anche un certo incremento……..”
Il luogo o il nonluogo siamo noi a determinarlo, come cittadini, come architetti. Sappiamo che ogni epoca ha lasciato quello che poteva dare. Per noi oggi, anche attraverso questo Concorso d’idee il  contributo, l’occasione e la capacità di costruire uno scenario migliore di cui i veri attori sono le persone che abitano questa polis e che hanno fra le proprie mani la possibilità di vivere un presente, che ha valore, con la prospettiva di lasciare un futuro migliore a chi verrà dopo.
Perché non mettere in moto una nuova etica, una nuova morale, un nuovo gioco?.
Il futuro di Latina, si giocherà sicuramente intorno ai suoi punti deboli, sulla capacità di saper ricucire le sue diverse parti e la capacità di inventare nuovi spazi, nuovi luoghi. 
Massimo Palumbo
Curatore
Premio d’Architettura Ernesto Lusana
______________
da Secondo
PREMIO ERNESTO LUSANA
Latina Aprile 2002

venerdì 14 dicembre 2012

lion krier a latina/littoria


Lion Krier a Latina/Littoria



dice un architetto all'uscita delll'incontro convegno tenutosi ieri sera a Latina ospite l'Architetto Urbanista Leon Krier dopo aver visto il video del Progetto di riqualificazione urbana a Tor Bella Monaca - Roma ..........Orrore! Fossero gli archi il problema... Il progetto è la vergognosa riproposizioni in cartapesta di modelli architettonici e urbani, quindi sociali, obsoleti. Nel progetto non c'è alcuna invenzione, non c'è alcun riscatto per noi abitanti, prigionieri di un glorioso passato che ci condanna ad essere sempre altrove da qui, ora. Sveglia italiani, sveglia!...ci stanno vendendo della merce avariata. Chiediamo di più, chiediamo il meglio ai nostri politici. Pretendiamo Cultura e Sensibilità per il contemporaneo, che può essere anche bello e umano ed è questo il compito difficilissimo che noi progettisti siamo chiamati a svolgere. Ma questi mostri no! Sono il frutto di una sotto-cultura che non è in grado di dare degna forma alle nuove istanze della società.
Firmato: un architetto come tanti che ama il suo lavoro come le persone.......



 


dice Luigi Prestinenza Puglisi : ........
Per Leon Krier la città ideale è fatta dalla contrapposizione tra un’edilizia vernacolare ed edifici monumentali, tuttiin stile. Considerato il successo che sta riscuotendo presso alcuni architetti e le autorità che si occupano dell’Eur, abbiamo più di un motivo per preoccuparci.

Dove preferirebbe vivere, a Manhattan o a Poundbury? A Poundbury naturalmente, mi risponde Leon Krier, che oltre a essere progettista di questo oramai famoso villaggio in stile, è consigliere del principe Carlo, uno dei principali teorici del cosiddetto New Urbanism , nonché autore di numerosi interventi edilizi ultratradizionalisti. L’occasione per porre la domanda e' l’incontro svoltosi il 7 febbraio a Roma, organizzatodal neonato Centro Studi dell’Architettura Razionalista e dall’Ente Eur s.p.a. Chiara, anzi chiarissima, la posizione dell’architetto di origine lussemburgese.Viviamo -sostiene Krier- in un mondo non sostenibile, ubriaco di energia che prima o poi dovrà fare un passo indietro, passando da una tecnologia High ad una Low conun approccio più responsabile verso i materiali e il luogo. Ciò vorrà dire abbandonare non solo gli odierni edifici realizzati nella massima indifferenza del risparmio energetico ma anche accorgimenti di moda che oggi fomentano una falsa idea della sostenibilità, come per esempio i pannelli solari o gli artifici ultra sofisticati che stanno sperimentando architetti di grido quali Norman Foster o Richard Rogers. E scoprire la tradizione, valorizzando quell’atteggiamento, tipico delle culture regionali, che non va alla ricerca del nuovo per il nuovo ma che punta alla buona costruzione, alla durabilità, al risparmio delle risorse. L’energia fossile – continua Krier- ha invece bruciato la mente degli intellettuali e la mente collettiva. Tanto che oltre a dimenticare le tecnologie tradizionali, abbiamo prodotto città invivibili piuttosto che habitat dal volto umano in cui tutti i servizi principali possono essere raggiunti in cinque o la massimodieci minuti di passeggiata.E per parlare del caso romano, realizzando mostruosità quali Corviale o Spinacelo dove non e' possibile individuare una logica del disegno urbano. Da qui il bisogno di riscoprire un quartiere come l’Eur dove l’architettura tradizionale si coniuga con un progetto urbanistico razionale.

Inutile tentare di convincere Krier che le vecchie tecnologie, se sono state abbandonate, era perché richiedevano sprechi di energia umana, e quindi costi, insostenibili. Per lui anzi, il cosiddetto Colosseo quadrato, uno dei monumenti dell’Eur più insulsi, avrebbe dovuto essere costruito senza cemento armato, tutto in pietra . Ed ugualmente inutile fargli notare che una delle critiche principali che i razionalisti, quelli veri come Pagano, muovevano all’Eur era l’inconsistente monumentalità, lo spreco di materiali, l’irrazionalità costruttiva ( porticati alti più di venti metri, portoni giganteschi, scalinate senza senso) e l’ inefficiente disegno urbano che prevedeva sin dall’inizio un quartiere spaccato letteralmente in due dalla via Cristoforo Colombo.

L’Eur, invece, e' per Krier un’opera dove la piccola scala si coniuga con quella più rappresentativa, un possibile laboratorio per sperimentare un nuovo approccio alla città. Fosse per lui, lo dividerebbe in quattro quadranti, ciascuno dotato di una piazza all’italiana demolendo quegli edifici, soprattutto pubblici realizzati a partire dagli anni cinquanta, che ne hanno deturpato l’aspetto. Piccolo e' bello: sono gli architetti – sostiene- e non l’uomo della strada, coloro che distruggono la città con le loro idee megalomani, e per fortuna che gli si e'dato poco ascolto. Vi immaginate – continua- cosa sarebbe successo se i governanti avessero concretizzato le idee urbanistiche di Le Corbusier o degli Archigram? Poi, lasciandoci addirittura allibiti, cita il ruolo positivo di Marcello Piacentini. Per lui un grande costruttore di città, dimenticando i disastri compiuti dal principe degli architetti del fascismo: da viadella Conciliazione agli sventramenti delle principali città italiane. Ma tant’e', in fondo per Leon Krier la città ideale e' fatta dalla contrapposizione tra un’edilizia vernacolare ed edifici monumentali, tutti rigorosamente in stile. Considerato il successo che sta riscuotendo presso alcuni architetti e le autorità che si occupano dell’Eur, abbiamo più di un motivo per preoccuparci.

Apparso su Edilizia e Territorio (2006)
 
Anche noi qui a Littoria/Latina siamo abbastanza preoccupati: non vorremmo imbatterci in una Q/6 o in una Q/7 in stile modello outlet Castel Romano...faremmo fatica a capire quale il vero quale il falso. Incrociamo le dita.
14.12.12
 

giovedì 15 marzo 2012

venerdì 2 marzo 2012

the chinese architect wang shu




The Chinese architect Wang Shu, whose buildings in a rapidly developing China honor the past with salvaged materials even as they experiment with modern forms, has been awarded the 2012

   
Mr. Wang is the first Chinese citizen to win the prize (I. M. Pei, an American, was the first Chinese-born architect to win, in 1983) and the fourth-youngest.  The selection of Mr. Wang, 48, is an acknowledgment of “the role that China will play in the development of architectural ideals,” said Thomas J. Pritzker, chairman of the Hyatt Foundation, which sponsors the prize and announced the winner on Monday.            

lunedì 27 febbraio 2012

pillola/architettura angiolo mazzoni

LATINA
PALAZZO DELLE POSTE 
ARCHITETTO ANGIOLO MAZZONI
                                                                                                   ph.A. D'Onofrio

domenica 26 febbraio 2012

intervista su angiolo mazzoni


Martina Zeherenthofer
Intervista Massimo Palumbo su su Angiolo Mazzoni



Martina Zeherenthofer:
la figura di Mazzoni, mi sembra sia alquanto contradittoria e confusa...o almeno questa è l' idea che mi sono fatta su di lui;

Massimo Palumbo: 
In effetti penso di poter condividere quanto dici

MZ:
non riesco a capire il suo rapporto col futurismo esaltato da Marinetti in maniera esagerata,

MP:
Esagerata era l’esaltazione di Martinetti, infatti penso che a tutt’oggi non si capisce quanto la ricerca di Mazzoni possa essere considerata con l’aggettivo futurista, tenendo presente che il percorso professionale e dei risultati sia stato quanto meno contraddittorio. È nella composizione degli stili  dal modo di intersecare gli elementi compiuti delle diverse poetiche che emerge l’aspetto più interessante ed originale della sua produzione architettonica: la secessione viennese, la scuola di Amsterdam convivono con le suggestioni di Sant’Elia, sono questi gli elementi che contribuiscono al progetto mazzoniano.
Dall’insegnamento di Gustavo Giovannoni risale la curiosità per l’architettura di Hoffman e di Olbrich. Di fronte però ai primi incarichi come tecnico delle Ferrovie dello Stato, quelle architetture della finis Austriae, quei sogni giovanili, lasceranno il posto alle austere superfici in mattoni di Berlage, di Bonatz e di Scholer. E sarà l'Hoffmann della Vienna Rossa e non del Padiglione austriaco dell'Esposizione di Roma (1911) che emergerà negli edifici postali o nelle stazioni ferroviarie.
Nel 1927 Mazzoni codifica, in un saggio su «Architettura e Arti Decorative», una serie di norme per il rinnovamento funzionale dell'edificio ferroviario, un tema le cui implicazioni di carattere estetico riguardano la necessità di costruire «un insieme armonico» di edifici, «un'unica concezione architettonica», capace di legarsi alla «natura circostante». Stoccarda e Helsingfors sono, tra l'elenco degli edifici riportati, gli esempi per lui più validi: le loro strutture verticali divise da ampie pareti vetrate rimandano alla monumentalità degli edifici industriali, che in quegli anni tanto interesse suscitano tra coloro che affermano il moderno in architettura.
Il 1 febbraio del 76 a proposito del futurismo  Mazzoni scrive……………..
1 Febbraio 1976

Nelle trasmissioni della Radio e in quelle televisive dedicate al " futurismo " non sono ricordati il mio nome i miei progetti né le mie costruzioni in cui la essenza del futurismo manifesta e ciò nonostante gli articoli di F. T. Marinetti nella " Gazzetta del Popolo" nei quali opere mie sono esaltate come manifestazioni futuriste, lo scritto del Fillia nel quale sono messe in evidenza la uguaglianza dei fini artistici del Le Corbusier e miei e la diversità del nostro modo di creare architetture, il libro di Enrico Crispolti " Il mito della macchina e altri temi del Futurismo ",  l' ironia di Ugo Ojetti sul mio progetto definitivo della stazione di Siena, il numero di " Controspazio”  dedicato al futurismo, quanto a me si riferisce nel libro del Patetta "L’architettura in Italia - 1919/1943 - Le polemiche" , l’ articolo del Severati in "L'Architettura" dell' aprile 1975 dedicato alla stazione di Siena .
Simili dimenticanze e il notare - quando in dette trasmissioni si parlava di architettura futurista - che erano citati solamente il Sant' Elia e il Chiattone mi hanno portato a dare più esatto e maggiore valore all'avere  Lionello Di Luigi, parlando delle vicende della stazione fiorentina, dimenticato che mi fu assegnato uno dei quattro secondi premi di pari merito, lo scritto di Maurizio Calvesi " Il futurista Sant' Elia” , il libro di Giovanni Klaus Koenig L’Architettura in Toscana - 1931/ 1968 " nel quale non cita le mie costruzioni in terra toscana indubitatamente futuriste per il loro impeto colmo di modernità, l'articolo del Tirincanti incluso da “ Il Messaggero" nella cronaca dell’incendio del corpo frontale di Roma Termini avvenuto nel 1967 , articolo nel quale si dice che “quel pover uomo di Mazzoni era andato a morire nel 1948 nell’ America del Sud " …………

MZ:
quello col fascismo

MP:
Era un funzionario dello stato e non poteva tirarsi indietro, la sua su un piano squisitamente professionale non era una figura di secondo piano

MZ:
e soprattutto il rapporto che aveva con gli altri architetti a lui contemporanei...

MP:
Penso, e non c’è da meravigliarsi non fosse ben visto dagli altri architetti a lui contemporanei... lui ha lavorato e lavorato molto, inoltre per certi aspetti è stato il committente di se stesso, e queste erano motivazioni che non potevano portargligli particolari simpatie…..

MZ:
in una lettera che scrisse a Bruno Zevi, riferisce di essere stato costretto ad iscriversi al Partito, ma mi sembra alquanto strano che nel 1922 una persona venisse obbligata ad iscriversi al partito fascista  (la maggior parte degli altri architetti si iscrive appena nel'36).

MP:
È questo il periodo, in cui rientrato dal Sudamerica  lavora per costruire, una sua immagine spendibile nei confronti del mondo Culturale e Accademico Italiano. Di suo pugno scrive un’autobiografia. Comincia a rimettere in ordine il puzzle dei tanti lavori, ma anche dei tanti rapporti avuti durante il ventennio ed oltre ed è  singolare pensare che sia stato costretto ad iscriversi al partito fascista.
E’ questo il momento in cui va alla ricerca di personaggi del mondo accademico italiano degli anni settanta con la speranza di una visitazione del suo lavoro ma anche di una valorizzazione. Cerca un approccio con Bruno Zevi che per quanto ne so rimase sul generico né si espose troppo, delegando ad un suo assistente, l’Architetto Carlo Severati il compito di analizzare un po’ più da vicino il lavoro di Mazzoni; everati pubblicherà su l’Architettura di Zevi alcuni articoli con foto dei lavori di Mazzoni ed in un certo senso apre per capire ed inquadrarne il lavoro.
Sempre in quegli anni Mazzoni  ebbe modo di conoscere il prof. Forti di Firenze. Forti al contrario fu il primo a sposare la causa-Mazzoni e direi senza se e senza ma. Mise in contatto Mazzoni con il Prof. Enrico Crispolti che già da diverso tempo studiava il Futurismo Italiano. Si era già interessato di Depero e frequentava il museo di Rovereto quello che trent’anni dopo diventerà il MART.
Proprio presso questo museo, Crispolti a ridosso degli anni ottanta, verso il 1978-1979 farà spostare le casse dell’archivio Mazzoni,  dalla casa di via Savoia a Roma dove Mazzoni  viveva  i suoi ultimi anni di vita in compagnia della moglie.

MZ:
Inoltre non capisco fino a che punto la sua architettura di "regime" fosse condizionata dal Partito o direttamente dal Duce,

MP:
Per quanto posso dire e per quanto lui stesso racconta e scrive nell’autobiografia redatta negli anni settanta, le opere ed i progetti erano sottoposte a pressioni di diverso tipo. Mazzoni gode comunque di una posizione di forza all’interno dell’ufficio lavori e progettazione e di conseguenza quando può tira fuori il meglio di sé. Ma la stessa cosa purtroppo sembra non essere possibile sempre, ed allora è costretto a cambiare e a proporre le soluzioni 1,2,3 ..A,B,C.  e Mazzoni con disinvoltura cambia ed adatta il progetto.!!

MZ:
Mi sembra di aver capito che, essendo un architetto che lavorava per lo Stato, aveva molto più potere rispetto agli altri architetti

MP:
Non solo aveva potere in quanto era architetto dello stato e all’epoca era di grande prestigio lavorare per l’Amministrazione Statale ma come dicevo Mazzoni godeva di posizioni (oggi diremmo…. ”conflitto d’interessi” ) che lo portavano ad essere committente di se stesso.

MZ:
E per questo motivo non era visto di buon occhio da questi ultimi.

MP:
Penso che sia stato proprio così non c’è da meravigliarsi: accadrebbe anche oggi !!.

MZ
Mi piacerebbe conoscere un suo parere su questo personaggio che è sempre stato tenuto poco in considerazione dopo la sua morte e sul quale è stato scritto molto poco a mio avviso……..

MP:
Alcune considerazioni di tipo personale credo di averle già espresse, sono considerazioni che si sono strutturate nel corso degli anni, ed in particolare dalla fine degli anni settanta ad oggi. Credo di essere più sereno e più distaccato oggi rispetto a quegli anni quando, neo laureato e giovane architetto ebbi il privilegio di conoscere il vecchio Mazzoni proprio in via Savoia a Roma.
Erano per l’appunto gli anni in cui Mazzoni sentiva un bisogno frenetico di mettere ordine alle sue carte e al suo lavoro. Era polemico e si sentiva ……..perseguitato!!
Cercava sponde utili per lasciare di se un’immagine, su un piano culturale,  il più possibile  spendibile,  in un momento in cui, superato il periodo degli anni 50-60 (in cui potevano ancora essere accesi sotto la cenere i carboni ideologici, degli strascichi fascismo-antifascismo).
Cercava forse un po’ di consenso sull’onda di un qualche interesse che cominciava a farsi largo proprio negli anni settanta tra architetti e professori di area romana su possibili riletture di opere realizzate in epoca fascista. Ed a Roma, Facoltà di Architettura, (in particolare in area di sinistra) erano diversi gli architetti che rileggevano in chiave libera da condizionamenti politici le architetture e quanto realizzato dal fascismo nell’urbanistica come nell’architettura.  
Negli anni settanta ho avuto il privilegio di conoscere di persona e documentarlo su quanto  stava accadendo a Latina, l’Architetto Angiolo Mazzoni. Lo visitai  più volte, nel suo appartamento-studio di via Savoia a Roma .
Erano quelli gli anni in cui a Latina tra la totale indifferenza dei più, dopo essere stato  semidemolito il Palazzo delle Poste (1964) si modificava  la stazione ferroviaria.
Essere testimone nel 1977 di questa nuova manomissione, fece si che  non si poteva rimanere indifferenti. Ci si attivò scrivendo e bussando ad enti, istituzioni, si informò la stampa locale e nazionale.
L’Ordine degli Architetti di Latina sollecitato dal sottoscritto, coglie l’occasione, e attraverso un documento manifesto fa…. “voti  affinchè tutte le opere inquadrabili nel contesto su accennato siano inventariate per creare i presupposti di una tradizione locale di conoscenza e rispetto......”
Questa volta si parla di “rispetto”,di “tradizioni locali” di ”storia” e si pensa di “inventariare”.
La soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Lazio in una sua nota condivide  pienamente le motivazioni di ordine culturale, ma aggiunge  che “……….purtroppo, i compiti di istituto in applicazione dei quali tale salvaguardia può essere esercitata, non si applicano, stando alle leggi 1-6-1939 n° 1089 e 29-6-1939 n°1497, al caso presente e pertanto, non è possibile alcuna azione……..”
Altri ammettono che “…..non può non disconoscersi,  che  questo edificio come gli altri dello stesso periodo, e la stessa struttura urbana di Latina rappresentano una pagina interessante della storia che, appunto in quanto espressione di vicende dell’uomo, non può essere dimenticata……...”
Angiolo Mazzoni, sicuramente è stato progettista versatile e prolifico, accurato disegnatore di dettagli, competente nella scelta dei materiali ed efficiente nelle scelte delle tecniche esecutive, è l’artefice della produzione architettonica dell’Ufficio V, che non produce caratteri anonimi e convenzionali dell’edilizia burocratica.
Le stazioni e i Palazzi Postali realizzati in numerosi centri della provincia Italiana tra il 1925 e il 1930 recano i tratti di un eclettismo storicistico molto marcato e le opere in genere presentano un elevato standard qualitativo. Ed è sempre lui  a dare l’impronta  a quanto si produce  nel ministero.
Della personalità di Mazzoni sicuramente ci resta un’altissima lezione di professionalità nell’operare architettonico e su quanto correntemente indichiamo come cultura del progetto. La sua creatività passava per una professionalità progettuale e realizzativa di grande spessore, una sapienza operativa volumetrica, spaziale con dimostrazione continua di grande conoscenza dei materiali.
Quando ho modo di conoscerlo, vive i suoi ultimi giorni di una vita ricca  di esperienze, malato, ma molto lucido nei ricordi.
Si apre così tra il marzo e l’agosto del 1977 una fitta corrispondenza: uno spaccato  vivo sia sul piano umano che su quello professionale. E gli sfoghi di Mazzoni ci fanno capire, che gli edifici di Latina non sono né gli ultimi ne’ i soli ad essere stati toccati. E’ un problema generale di costume e di “incultura”.
Da questa corrispondenza e dagli incontri avuti di persona nasce l’idea di una mostra sui progetti realizzati in Agro Pontino.
Mazzoni accetta con entusiasmo e collabora dando indicazioni e consigli. Due anni di lavoro per un gruppo di giovani Architetti e studenti di architettura, riunitisi per l’occasione in ” Gruppo di ricerca Storica “ in una città forse troppo sorda e poco incline a guardarsi allo specchio per conoscere la propria storia e le proprie origini.
Mazzoni naturalmente incoraggia verso questo lavoro e offre la possibilità di accedere al suo archivio  oramai da alcuni anni donato su interessamento dell’architetto Alfredo Forti al Museo Depero di Rovereto ove era la sede del Museo del Futurismo Italiano. L’entusiasmo giovanile ci guidò, in una spola tra Latina e Rovereto.
Il 28 Settembre 1979 Angiolo Mazzoni muore. Un anno dopo nel maggio del 1980 nella sala conferenze del Consorzio dei Servizi Culturali  in via Oberdan a Latina si apre la mostra su “Angiolo Mazzoni Architetto 1932-1942 dieci anni di attivita’ in Agro Pontino “.
Questa fu di sicuro la prima mostra sui lavori di Mazzoni realizzata in Italia, poi verranno le altre…..più importanti, il ghiaccio era rotto e da quei giorni ad oggi in tanti si sono interessati di Mazzoni cercando di scavare tra le ambiguità.   A margine della mostra del 1980 a Latina, un convegno dibattito. Invitai e presenti gli Architetti Alfredo Forti e Carlo Severati, che in quegli anni erano gli unici in Italia oltre ad Enrico Crispolti, ad interessarsi del lavoro di Mazzoni. Ricordo che anche in quell’occasione Severati guardava Mazzoni con sospetto, Forti era più propenso a giustificare le ombre e i dubbi sulla valenza del lavoro Mazzoniano. A testimonianza di quanto fatto riuscimmo stampare un piccolo catalogo.


 MZ:
Su qualunque testo del Fascismo si parla di Piacentini, Pagano, Muzio, Persico...ma su Mazzoni quasi mai………

MP:
In effetti rappresenta una figura tra le meno ascoltate del periodo fascista. Secondo me è il prezzo che la critica architettonica gli fece pagare per l’atteggiamento ambiguo e poco chiaro: un analisi attenta dei tanti lavori ci porta purtroppo ad imbatterci a situazioni eccellenti ma anche ad episodi di dubbia valenza a discapito di una coerenza complessiva che non può essere dimenticata né sottovalutata. E poi non dimentichiamo il sospetto dei liberi professionisti, nei confronti di quelli che operano con la copertura di una struttura statale pubblica.  Oggi non è la stessa cosa?


 MZ:
Infine le chiedo un'ultima cosa: lei forse conosce qualche notizia a proposito della Stazione di Roma -Termini?

MP:
No non ne sono a conoscenza. Sicuramente come per la stazione di Trieste puoi trovare nelle pubblicazioni del Mart

MZ:
In particolare riguardo alle varianti di progetto che vennero imposte a  Mazzoni dal Duce, in seguito a dei colloqui?

MP:
No. non ne sono a conoscenza.
Naturalmente tra le risposte date a questa intervista  alcune hanno riscontri precisi, altre sono opinioni personali che ho avuto modo di maturare nel tempo.


Latina 01.02.06



PALAZZO DELLE POSTE
(1932)
LATINA
ARCHITETTO ANGIOLO MAZZONI


mercoledì 22 febbraio 2012

il memoriale di peter eissenman a berlino


Il Memoriale di Peter Eisenman a Berlino per gli Ebrei d’Europa assassinati

Esistere nell’assenza di nomi

di Francesco Dal Co
Il 20 agosto 1943, racconta W.G. Seebald, l’"Operazione Gomorra", pianificata dalla Royal Air Force, è compiuta. Diecimila tonnellate di bombe hanno ridotto Amburgo a una mare di fiamme. I sopravvissuti si raccolgono in processioni che non hanno mete. Un gruppo di loro tenta di assalire un treno; una valigia di cartone cade sul marciapiede "si rompe e ne esce fuori il contenuto. Giocattoli, un nécessaire per il cucito, biancheria bruciacchiata. Per finire il cadavere di un bambino carbonizzato, ridotto a una mummia, che una donna ormai al limite della follia si trascina appresso come vestigio di un passato solo pochi giorni prima intatto".
Anche il comportamento di quella donna, di cui non conosciamo il nome, conferma che la fenomenologia della rimozione è fondata sul ricordo. Alla medesima fenomenologia appartiene anche il rifiuto della realtà che ha consentito agli abitanti delle città tedesche distrutte di rimettersi immediatamente al lavoro dopo la fine della guerra, perché "nessuno al mondo lavora così tanto e così duramente come i tedeschi", osservava Hannah Arendt nel 1950. Inciampando tra le rovine della loro storia, aggirandosi indaffarati tra i cumuli delle loro macerie - 42,8 metri cubi ne spettavano ad ogni abitante di Dresda -, i tedeschi "scrollano le spalle o reagiscono con risentimento quando vengono loro ricordati gli atti orribili che ossessionano tutto il resto del mondo" e osservandoli, continua Arendt, "ci si convince che l’operosità è diventata la loro principale arma di difesa contro la realtà".
Ora, ora che persino Berlino non è più un’isola e la città non è più un organismo privato del diritto alla crescita da una profonda, paralizzante cicatrice, l’indaffarata laboriosità, che come un muro ha protetto i tedeschi dai fatti, potrebbe sembrare destinata a cedere. Lì dove Albert Speer aveva progettato i monumenti del Reich millenario, sorgono oggi grattacieli e piazze ordinate e il sistema nervoso della città divisa è stato rimesso in funzione. Ma edifici eretti frettolosamente per rassicurare i tedeschi e il mondo che la Germania è definitivamente entrata a fare parte di una storia che non sarà soltanto il popolo tedesco a scrivere, si allungano insicuri della loro imponenza, afflitti dall’eccesso di eloquenza di cui si compiacciono.
I simboli della rimozione si sono dati convegno accanto al vecchio Reichstag. Qui, una cupola spettacolare e ardita ha preso il posto di quella disegnata a suo tempo da Paul Wallot, andata distrutta; i turisti, avendo la possibilità di visitarla, possono salire sino ai camminamenti sospesi e sfiorarne le vele trasparenti; dall’alto possono ammirare, come accade a coloro che in un acquario osservano i pesci esotici, lo spazio maestoso dove si compiono i riti della democrazia; possono provare persino un senso di ebbrezza, dato che la tecnica è qui più che mai impianto esibito, smemorata circostanza - scenografia sui cui effetti i costruttori della cupola hanno puntato l’intera posta. Questa complessa macchina, nelle cui superfici Berlino ricostruita pare riflettersi, sembra essere stata progettata per zittire persino il fruscio delle parole ancor oggi in epigrafe sul frontone del Reichstag, "Dem Deutschen Volk", per le quali Peter Behrens e Anna Simons avevano disegnato caratteri che parevano strappati a una storia secolare.
Qui, non a caso su un’area che avrebbe dovuto essere oscurata dall’ombra della Kuppelhalle e scomparire di fronte alle dimensioni della Grossen Platz progettate da Speer, accanto alla Cancelleria di Hitler, a poche decine di metri dal Reichstag, della Bradenburger Tor e di Pariser Platz ora ricostruiti, accanto al Tiergarten, si trova il Memoriale per gli Ebrei uccisi d’Europa. Quando Peter Eisenman ha vinto il concorso bandito per costruirlo correva l’anno 1997.
Berlino era allora indaffarata; molto c’era da fare e anche il Reichstag reclamava la sua cupola, tranquillizzante e spettacolare; così, in questo caso, le decisioni sono state prese lentamente, l’ammirevole operosità tedesca ha conosciuto una battuta d’arresto, i fatti sono stati tenuti ancora una volta a bada e solo il 10 maggio 2005 il Memoriale è stato inaugurato.
Lo formano duemilasettecento steli, allineate lungo percorsi che tagliano ortogonalmente l’intera area, che misura circa 20.000 metri quadrati. Intorno, la città offre la vista di quinte che ne attestano la compiuta ricomposizione e di edifici dai profili ascendenti, analoghi a quelli della cupola vetrata che si leva sulle solide, ingenue e banali colonne del Reichstag. Le steli del Memoriale, invece, sono conficcate nella terra; hanno spessore e larghezza uguali, 95 e 237,5 centimetri; formano lunghe file parallele, separate, le une dalle altre, da una luce di 95 centimetri; hanno altezze diverse, da pochi a quattrocento centimetri. La terra e non l’etere è l’elemento che le accoglie. Per lo più si levano verticali, e sono rare quelle lievemente inclinate, quasi sia stato assegnato a queste soltanto il compito di ricordare che chi rinuncia alla fuga nell’aria non è autorizzato a sottrarsi all’inquietudine antica, ad ignorare l’instabilità degli appoggi che la terra offre. Le steli sono monocrome e le loro terminazioni, come punti di rette che poi si intrecciano a formare una fitta maglia, disegnano un profilo incurvato in più direzioni, che la luce radente rende simile a un velario sospeso sul terreno. Nessun nome e nessuna scritta compaiono sulle steli; nulla annuncia a chi vi giunge che i cunicoli che gli si aprono accanto o di fronte costituiscono un Memoriale, che l’architetto ha saputo concepire come un luogo che tale è proprio perché ad esso non si adatta alcun nome.
Tra le steli si affonda; lentamente, mentre il cammino prosegue lungo i cunicoli, le chiome degli alberi e le cuspidi della città scompaiono alla vista, stimolata dal progressivo affievolirsi della luce del sole. I passi si succedono meccanici tra prospettive ossessive che variano incessantemente senza mai mutare d’aspetto; il movimento attraverso la fissità e la permanenza è privo di direzione e non ha meta: allontana da nulla e a nulla avvicina, accompagnato unicamente da una crescente inquietudine geologica.
L’opera dell’architetto si presenta frutto di un lavoro essenziale e primitivo, simile a quello che richiedono lo scavo e le operazioni di dissotterramento. D’altro canto, quelle steli, ricorda Eisenman, non sono frutto della fantasia o dell’ingegno del progettista: erano già lì, nascoste dall’edera dei giardini, dalla terra, dalla polvere delle distruzioni accuratamente accumulata ai bordi del parco, come si è fatto con le rovine delle baracche nel campo di stermino di Bergen-Belsen. Erano lì da sempre, nel cuore della città cresciuta ordinatamente, distrutta e poi ricostruita - un segreto che l’architetto ha soltanto forzato, senza osare per esso un nome.
Erano lì, quelle steli grigie, protette dalla polvere depositata e dalla "scimmia che digrigna intelligentissima i denti", come diceva Nietzsche, che ricorda agli uomini che di ciascuna di queste pietre sono loro gli artefici e non già la follia della ragione che ne ha guidato l’agire contingente.
Non è neppure una rovina quanto è affiorato, grazie al lavoro da archeologo che Eisenman ha compiuto sulla spianata di fronte al Tiergarten. Le rovine reclamano senso della storia e culto per il passato, atteggiamenti non richiesti, perché ad essa indifferenti, dalla monocroma monotonia delle steli che l’architetto ha immaginato di avere individuato e poi dissepolto. Nel Memoriale berlinese non si prova ciò che gli spiriti che intrattengono buoni rapporti con la storia avvertono di fronte ai luoghi che offrono alla vista i ruderi che ospitano, "in presenza dei quali", scrive Ernst Jünger, "desolazione e superbia si compenetrano stranamente: desolata tristezza per la fugacità di tutti gli sforzi umani, superbia per la volontà che con lena sempre rinnovata cerca di affermare che essa appartiene alle realtà imperiture".
Non vi è spazio per simili sentimenti nel Memoriale, e neppure la paura è qui ammessa. Un’angoscia insopprimibile, invece, afferra chiunque, abbandonati gli stretti camminamenti, decide di entrare negli spazi ipogei, le cui coperture sono modellate dalle pieghe del terreno sovrastante. Sono immagini contundenti, impermeabili ad ogni tentativo di interpretarle, indifferenti alle domande, incuranti di ogni spiegazione, quelle che si osservano nel sacrario ritagliato sotto la spianata delle steli; rispondono soltanto ai nomi che le accompagnano, soli o riuniti in interminabili elenchi. Leggendoli, si può immaginare a quali altri nomi di città o di villaggi associarli, a quali paesi ricondurli, sino al punto in cui se ne avverte il fitto affollarsi e il brulicante infittirsi, l’imponente dilagare dal cuore del continente all’intera Europa,
Anche gli spazi ipogei del Memoriale sembrano modellati facendo ricorso ad attrezzi molto semplici, che Eisenman ha privilegiato per non concedere, nel costruirli, ruolo alcuno alla tecnica, sapendone l’inadeguatezza ad evocare l’impossibilità di ricordare collettivamente quanto neppure la memoria può sopportare e soltanto il pensiero, nel suo esserci più radicale, dimesso, intransigentemente soggettivo e nudo, può arrischiarsi ad affrontare.
Quelli che Eisenman ha impiegato, sono utensili primordiali, non raffinati dall’uso e dal tempo, non molto più evoluti di una vanga, usata per rimuovere il terreno e modellarlo, secondo quanto le steli che lì si trovavano richiedevano. Ma così facendo e a dispetto della modestia dell’attrezzatura utilizzata, il nostro architetto si è comportato da geologo, da archeologo e fors’anche da biologo, se è vero, come Jünger ci induce a credere, che lo studio degli strati di una sedimentazione geologica richiede competenze analoghe a quelle di cui deve disporre chi intende conoscere il passato delle nostre città. "Dal punto di vista biologico", scrive Jünger, "fra uno strato che si è formato attraverso il depositarsi di diatomee o l’accumulo di coralli e una di quelle grandi colline erette dall’insediamento dell’uomo nel corso di molte generazioni non esiste differenza. Nell’un caso come nell’altro troviamo resti di habitat mescolati alla polvere dei loro abitatori. Una metropoli sotto il cui asfalto si accumulano catacombe, sepolcri, rovine, macerie e calcinacci di cinquanta generazioni richiama alla mente una barriera corallina. La vita abita l’epidermide più superficiale e caduca, su cui muove i suoi tentacoli, si nutre e inscena i suoi giochi di guerra e d’amore". Questo paragone è istruttivo, ma soltanto se se ne rovescia il senso si rivela utile per spiegare il significato del lavoro che Eisenman ha compiuto a Berlino. Le steli che compongono il Memoriale non hanno né i colori né le forme variate delle diatomee, né le iridescenze delle barriere coralline, e non sono neppure accomunabili ai sepolcri, alle catacombe, alle rovine che dal profondo delle città emergono a sfidare la nostra capacità di ricordare e immaginare. Queste steli alludono a qualcosa che viene prima di tutto questo, omogeneamente grigio e compatto, e riguarda l’uomo in quanto tale - l’uomo capace di ammirare sino a chiamare corallo le curiose forme che osserva nel mare, ma al contempo di riservare a sé ciò che non sarà poi neppure in grado di ricordare e di nominare, liberando l’energia terribile che il suolo delle città da lui costruite comprime, nasconde e conserva.


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Questo saggio di Francesco Dal Co viene pubblicato su archimagazine il 17 giugno 2005 su concessione della redazione di Casabella ed è stato scritto per il numero 735 del mese di Luglio-Agosto 2005 della rivista Casabella