“ … la fiamma del carabiniere…”
… L’intervento è minimale e rispettoso dell’impianto urbanistico di fondazione.
L’isola, è sottolineata da un cordolo sagomato in travertino, rafforzato lungo tutto il perimetro da una lastra, ancora in travertino, con funzione di raccordo con l’asfalto della sede stradale. Sulla sommità un semplice prato verde accog quello che l’autore, Massimo Palumbo, definisce un segno urbano. Si tratta di due sagome sovrapposte e lievemente inclinate rispetto al piano di posa, una in acciaio corten e l’altra in acciaio inox, che raggiungono in altezza le dimensioni di 3 metri
Le sagome evocano un simbolo ben noto e riconoscibile, la fiamma del carabiniere ….…
…Proiettata nella città, la fiamma supera la referenzialità all’oggetto, essere simbolo dell’Arma, bloccata nella divisa, per ritornare ad essere l’espressione di un sentimento, in questo caso di riconoscimento per quegli uomini, figli del popolo, della città, che bruciano le loro vite nel servizio ….…
Così Massimo Palumbo con il materiale della tradizione, il travertino tipico del periodo di fondazione di Latina, il materiale della natura, il prato verde ed il materiale dell’innovazione e della forza efficiente e di molte espressioni artistiche contemporanee, l’acciaio, si confronta con il tema del “monumento”.
Si tratta di un tema contraddittorio per l’arte contemporanea e per molti aspetti imbarazzante, bandito per anni, perché non si tratta soltanto di un’arte fine a se stessa ma di un’arte che deve confrontarsi con un contenuto ufficiale, entro certi limiti con criteri di leggibilità e riconoscibilità, e con tutta una tradizione. Si tratta poi di un elemento destinato a durare nel tempo.
Bene ha fatto Massimo Palumbo ad accettare questo confronto e ad esporsi in tal modo in pubblico, consapevole da architetto-artista quale è, che ogni monumento è essenzialmente un segno che, nel riassumere un luogo, lo qualifica come spazio, momento di sintesi della qualità urbana ….
Teresa Zambrotta Critico, storico dell’arte.
Latina giugno 2004
foto by Annamaria De Luca