CASA LA SALA
1970 /1974
Latina
Antonio D'Erme
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https://censimentoarchitetturecontemporanee.cultura.gov.it/scheda-opera?id=3664
Il Censimento delle architetture italiane dal 1945 ad oggi, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, è una mappatura dell’architettura contemporanea realizzata mediante attività di selezione e schedatura di edifici e di aree urbane significativi e di diffusione e valorizzazione dei risultati attraverso una piattaforma web dedicata
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Il “Bunker”, ovvero, Casa Lasala: una responsabile avventura.
Loredana Lasala
Solo un anno prima si era rivolto all’azienda di famiglia per stampare i biglietti da visita: “Antonio D’Erme – Architetto …”.
Un pezzettino di carta la cui originalità rivelò subito le caratteristiche e le potenzialità di quel giovane progettista e convinse mio padre ad affidargli la trasformazione di quella tipografia nel centro della città in uno spazio moderno ed efficiente.
Di lì al conferirgli l’incarico della progettazione della “casa dei sogni” il passo fu breve. Era l’inizio degli anni ’70 e la fiducia nel futuro, ancora, consentiva, pur a non più giovanissimi imprenditori, di investire nella qualità e, perché no, nel prestigio di aziende e famiglie. Noi figli si era solo dei ragazzi. Tonino una sorta di fratello maggiore. E la casa che nasceva sotto i nostri occhi impreparati era un fenomeno affascinante reso ancor più eccitante dalla sua personalità di tranquillo ma inarrestabile vulcano. Veniva nel nostro appartamento di via F.lli Bandiera, dove viveva qualche piano più sotto, con i suoi disegni e i plastici straordinari che ci facevano vedere dove e come saremmo vissuti di lì in poi. Il passo quasi saltellato di chi non riesce a star fermo - più per eccesso di energia che per inquietudine - il sorriso dei suoi occhi dolce-acuti; sempre lieve e ottimista (non credo di averlo mai visto arrabbiato). In fondo, non lo si poteva contraddire. Purtroppo, però, con il primo progetto, sforò il budget di troppo per potergli consentire di realizzare le sue ‘visioni’: doppie altezze, rampe elicoidali che distribuivano le stanze a vari livelli: uno splendore. Fu il primo ed unico rifiuto che i committenti gli opposero.
Dovette ripiegare su una versione semplificata, ridimensionata ma non mortificata: il genio e la cultura dell’architetto emersero comunque da quello che si era trasformato in un elementare quanto ‘pensato’ parallelepipedo di cemento dalle proporzioni perfette.
La facciata scalpellinata, gli elementi emergenti dei comignoli ellittici e del solarium semicircolare, la giustapposizione di pieni e vuoti, le inclinate, i colori e una serie di dettagli tutti da scoprire, avevano creato un oggetto architettonico essenziale nelle linee ma fortemente plastico: una scultura di pietra (artificiale) e colore, di silenziosa eleganza, nel piatto paesaggio della campagna di Latina che non lascia rimpiangere la prima versione.
Le Corbusier, Terragni, Rudolph, Mies, Mondrian: evocati e riletti nell’interpretare un castello medioevale scozzese; (1) con la rampa di accesso che allude a un ponte levatoio. (2)
Aveva studiato Tonino e capito - come pochi - quei maestri del novecento che d’un colpo avevano spazzato via orpelli e retorica dall’abitare e dal costruire. Senza restarne schiavo, da discepolo troppo ossequioso, ma traducendone la lezione in un prodotto originale e sensibile.
La prima notte nella casa fu un’esperienza di quelle che non si dimenticano. Il silenzio innaturale, rotto solo dal canto degli uccelli notturni, agitava profondamente. I lucernari, sapientemente disposti a segnare percorsi e a disegnare fondali, lasciavano entrare la luce bianca della luna in un gioco di geometriche ‘presenze’; gli spazi fluenti al punto da confondere (non fu facile trovare il frigo). Non potei dormire.
Non era una casa, quella, era una dimensione esistenziale nuova che giorno dopo giorno si rivelava e si impossessava di te.
Tutto invitava alla meditazione e alla contemplazione ma allo stesso tempo ti spingeva ad esplorare, incuriosiva, sorprendeva.
Posso dire che l’esperienza di quegli spazi fu davvero una rivoluzione. La “pianta libera”, l’intimo rapporto con la natura circostante, concesso dalle generose vetrate, le visuali a sorpresa, mutevoli ad ogni passo, ad ogni ora, ad ogni stagione - che ancora oggi mi danno la sensazione di ‘passeggiare’, quando sono in casa - mi hanno ri/educato incidendo profondamente nelle mie categorie. Piazza pulita di tutto il conosciuto/subito; fine dell’ordine stabilito. Almeno quello di porte e finestre, stanze e corridoi a cui, la maggior parte di noi, Italiani-classe media-di provincia, ci eravamo fino ad allora adattati e sottomessi.
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1) Il riferimento a tale fonte di ispirazione è dello stesso Tonino D’Erme.
2) La rampa era stata una precisa richiesta della proprietaria in prospettiva di una vecchiaia funestata da possibili disabilità.
Il cambiamento era nell’aria. C’era stato il ’68; poi vennero il’73 e il’78. Anni di cambiamenti profondi di cui Tonino aveva colto il portato migliore: la freschezza e l’autenticità di una libertà più consapevole: la responsabile avventura di una nuova e sconosciuta libertà, una libertà non violenta. (3)
Solo gentilezza, nessuna aggressività, elegante rigore, non disordine mentale: questa era l’espressività di Tonino. Questo traspare ancora in ogni curatissimo dettaglio. Una cura che ne fa un’opera di altri tempi. Un’opera uscita dalle mani e dal cuore, oltre che dalla matita più o meno grassa dell’architetto-artigiano-artista. Nessuna operazione di copia-incolla. Databile, non datata; con tutto il fascino e la freschezza delle cose frutto di pensiero nobile. Oltre che di talento.
Nulla o quasi è stato cambiato; nessun abuso, nessuna manomissione: la creazione è stata rispettata e amata al punto da far esclamare ad un noto storico in visita: “Bisogna che un notaio documenti tutto ciò. Tutto questo deve essere messo a verbale e sigillato…”, o giù di lì. Una boutade in linea con il personaggio, una provocazione (francamente, ancora oggi ho solo una vaga idea, e mi sfugge pure, di quello che volesse dire).
Ma la casa è davvero, ancora, l’espressione fedele del genio dell’architetto (lo si lasciò lavorare assecondandolo in tutto) e del suo tempo.
Non senza problemi. La crisi energetica esplose quasi senza preavviso e solo qualche domenica dopo la conclusione dei lavori l’Italia andava a piedi. La tecnologia e i materiali non convenzionali, usati per realizzare una “scultura da abitare”, non avevano fatto i conti con il gasolio alle stelle e la dispersione termica, inevitabile in ambienti così ‘fluidi’, non circoscritti e così ampiamente vetrati, rese il quotidiano degli abitanti piuttosto complicato nel tempo. Le tonnellate di ferro e cemento impiegati furono uno spreco indicibile: ci si sarebbe potuta costruire una palazzina di diversi piani. E poi il cemento a vista, con i ferri più superficiali che gonfiano e spaccano.
3) Per questo, “Gas”, il film di recente ambientato (fortuna, solo alcune scene) nella casa, non rende merito al suo spirito.
Serviva una casa anni ’70 per una storia ambientata a Latina che la famiglia, ignara dei contenuti, ha concesso per favorire un giovane regista concittadino.
E’ giusto parlarne perché questa non sia solo un’occasione di postuma piaggeria ma momento di riflessione; e ripensamenti se necessario. Personalmente sono in grado di comprendere e accettare. Qualunque cosa. Il premio, in bellezza, è irrinunciabile e ripaga.
E’ questione di scelte: perdite, fatica; ogni innovazione ne richiede. E se non ci annoia un'altra considerazione, ricordiamo come la ben più nota e prestigiosa “Casa sulla Cascata” – di F. L. Wright – dovette essere abbandonata per l’incessante e, ad un certo punto, insopportabile rumore dell’acqua. Un’audacia, un errore di valutazione progettuale che tuttavia continua a regalarci poesia e meraviglia.
Audacia che ha fatto sì che si possa gustare, nella casa Lasala, un’atmosfera unica, autentica, ancora estremamente stimolante. I visitatori, a distanza di più di trent’anni, ne restano ammaliati. Forse più di allora quando, non proprio affettuosamente, era nota come “il bunker”. Ma erano tempi diversi; non eravamo pronti a tanta “brutalità” (4) e per la prima volta, dopo anni di pace, si respirava un’aria minacciosa: quella del “Golfo”.
Oggi, qualche artista, ma non solo, la sceglierebbe volentieri come dimora o dichiara di voler cambiare tutto della propria dopo tale esperienza estetica. Qualcuno ne rileva il tocco di surrealismo, forse il più stridente in tanta coerenza: la presenza dei proprietari. Sorprende questa coppia di 87 e 81 anni in tanta attualità. Una coppia di ‘giovani’ pionieri che hanno creduto nell’Architettura Moderna e, soprattutto, in un Architetto.
4) L’opera si può definire “brutalista” (da béton brut) per l’uso del cemento a vista