Sul nuovo, sulla contemporaneità, l’arte, l’architettura, i luoghi e i non luoghi che viviamo. Indagare, vedere, parlare, conoscere, camminare, attraversare. Questo progetto dovrà essere capace di scavare tra i sogni, i desideri, le testimonianze di chi vive la città . Dovrà essere capace di prospettare un futuro prima di risolvere il presente. Mai come oggi serve un progetto che sia in grado di stimolare il desiderio di esserci, di fare in quanto cittadini di questo territorio e, comunque, una sintesi in equilibrio tra tradizione ed innovazione. Quale il rapporto tra arte e architettura? In che modo i saperi e i linguaggi disciplinari possono innestarsi per restituire la pluralità del territorio, nella sua dimensione fisica e sociale, per dare vita a nuovi paesaggi culturali? Latina, al centro del nostro indagare, città senza mura ed aperta al territorio vasto, che dalle propaggini dei Colli Albani si estende poi fino a Terracina, è LA CITTA' PONTINA . Questo, per punti, per emergenze il “paesaggio culturale” che ci appartiene e che è la nostra immagine, fatta, di acqua, di eucalipti, di mare, di spazi pianeggianti e del silenzio, di vuoti, oltre che di persone con i propri costumi, le proprie tradizioni, il proprio essere: ricchezze da mischiare e da raccontare. La cultura e l’arte sono la voce critica, il terreno della riflessione, laddove si è fallito per mancanza di capacità programmatica o, nel nostro caso, forse di cultura comune di appartenenza. E poi ancora: Latina e gli anni trenta, il primo Novecento. Architettura e metafisica vanno poco d’accordo per un problema sostanziale. “La metafisica presuppone una visione distaccata ed esterna della realtà che, così, appare in bilico tra realtà e irrealtà; la vita concreta, invece, la realtà la divora, la vive e non la contempla. Pensare che una persona possa vivere all’interno di un quadro metafisico è possibile ma solo pagando un prezzo altissimo alla realtà. E difatti le architetture metafisiche le apprezzano, di regola, gli architetti che le guardano astrattamente ed esteticamente ma non le vivono e non le apprezza la gente comune che le guarda praticamente e le vive, distruggendole e privandole del loro senso originario” (Luigi Prestinenza Pugliesi). Storie e situazioni che vanno indagate come da indagare è il senso e le conseguenze d’essere una città di fondazione. Con FARE SPAZIO noi vorremmo si andasse oltre l’orizzonte ristretto della città di fondazione. E’ possibile? Andare oltre e superare questa condizione culturale di impasse, di fermo, di sguardo perennemente retroverso. Abbiamo terribilmente bisogno di agire, di osare. Dobbiamo cercare d’andare oltre la città ideale e, forse, la città ideale costruita non esiste se non nel nostro immaginario. Latina città del Novecento merita una propria visuale prospettica. Poi qualcuno ti dice: “attento le città di fondazione negano il loro destino”. Vorremmo avere strumenti, vedere, sapere e rispondere che non è così. Mi è capitato anche in diverse occasioni di leggere: “le città di fondazione sono un falso storico!”. Sarà vero? Non so. E' un nodo che non sono riuscito a sciogliere. Però dico: guardiamo avanti e progettiamo “futuro”. Chi ha avuto ragione dalla storia ha reinterpretato luoghi e simboli.
La storia è fatta dal sovrapporsi di segni a volte in continuità, altre in contrapposizione e comunque sempre a dare senso alla storia degli uomini.
Andare oltre, sapendo bene che la ricerca della perfezione urbana è un obiettivo improprio per il significato insito di “città”. Le nostre citta non sono altro che il risultato di stratificazioni e di luoghi da raccontare. Diceva Giancarlo Bovina: “Esplorare per me significa ritrovare la sacralità del luogo”. “La sacralità dei luoghi” è quello di cui abbiamo bisogno. Può sembrare strano, ma abbiamo bisogno di luoghi, di storie, di racconti e di nuove narrazioni. La città è fatta di segni e di volontà, volontà politiche e di scelte nuove, di cambiamenti.
Le stratificazioni danno origine a nuovi sguardi, a nuove interpretazioni per nuove strategie di trasformazione dello spazio urbano, dove lo spazio pubblico deve essere inteso come complesso di relazioni. Sovrapporre, stratificare. Relazioni e nuovi racconti. Solo producendo narrazioni e sguardi politici diversi si possono immaginare strategie, reti e città possibili.
Il nostro è un territorio il cui potenziale va svelato, riscoperto, riattivato. Esiste già, ma per raccontarlo bisogna immaginare le parole, i luoghi, le situazioni e le storie che pur ci sono. Risulta fondamentale la gestione dello sviluppo urbano e degli spazi della socialità fino alla comprensione del territorio come spazio dell’esperienza condivisa. L’architettura del nostro intorno, di contro vive e deve rappresentare visioni, deve saper immaginare nuovi paesaggi capaci di raccontare i nostri giorni, il nostro vivere i contesti vissuti dalla quotidianità. C’è poi un’urgenza per una “prospettiva culturale” che porta al nuovo e capace di capire il giusto valore della contemporaneità e importante sarà produrre uno spostamento di sguardo e di direzione. “Abbiamo bisogno d'immaginazione e non di immagini. Se vuoi apprezzare sino in fondo l'architettura, nella sua essenza, allora devi comprenderne la sfera onirica. La letteratura come la poesia. Non immagini, ma suggestioni! perchè ti fanno vedere l'invisibile con l'occhio della mente.”. Oggi più che mai le città sembrano offrire un’apertura utopistica nei confronti di stereotipati modernismi per un possibile nuovo progetto urbano. E Salvatore Settis nelle sue lezioni a Mendrisio ci dice: “la città e il paesaggio incarnano valori collettivi essenziali per la democrazia; sia la città che il paesaggio formano un orizzonte di diritti a cui deve rispondere la responsabilità dell’architetto, perché il suo lavoro incide sull’ambiente e sul tessuto urbano, determina la qualità della vita quotidiana, modifica le dinamiche della società” (Vincenzo Latina). Un modo questo per racchiudere i tanti valori etici che facciamo nostri per … FARE SPAZIO.
(2018)