domenica 11 giugno 2023

MADRID 2017




....era Madrid 2017, 

Nihil-Nada di Massimo Palumbo

La riflessione sull'informazione mediatica nel tempo della contemporaneità…
di Michele Porsia

Nihil-nada di Massimo Palumbo è una retrospettiva che non tenta di ricostruire l'opera omnia dell'artista, ma di trovare un filo rosso per ricucire un taglio: la riflessione sull'informazione mediatica nel tempo della contemporaneità ha segnato una parte di lavori, poco noti, ma molto significativi dell'artista. Massimo Palumbo gioca con la storia, ma non è un gioco che cerca un vincitore: è una di quelle attività ludiche che servono come preparazione fisica e mentale ad affrontare l'evento dell'oggi. Se la krísis per gli antichi era solo un breve momento, una linea di demarcazione, attualmente è qualcosa di diverso: la nostra epoca, sebbene sia caratterizzata da una travolgente velocità, vive una lenta, lunga e inesorabile crisi che l'artista prepara, compone in assemblaggi di resti, segni, impronte. Ogni quadrato immobilizza la malgama, la rallenta ulteriormente fino alla completa stasi. 
E così in queste opere cartacee di Palumbo si mischiano ritagli di cronaca nera, pezzi di scatole, resti o reliquie della propria esistenza che si mischia alla storia degli altri. 
Palumbo riflette in quarant’anni di lavoro su questa epoca che ha abbracciato la retorica antieroica del nessuno, che viene sì da una poetica nobile e ben interpretata dai maestri dell'arte povera italiana, ma che è degenerata troppo presto in uno stile manieristico, nello spettacolo messo in scena nel basso politico delle opinioni estemporanee e nell'ossessione stillicida della violenza domestica, continua e quotidiana.
La crisi è divenuta essa stessa una retorica, un flusso onnipresente, un liquame culturale fatto di informazioni tossiche e spesso compiaciute. Lo sguardo sulla natura umana, è per Palumbo una riflessione morbosa sull'animale uomo che informa se stesso, in una società post-democratica, su fatti che esprimono bene solo la sua profondissima debolezza. Bombardamenti di informazioni a potenza ridotta, guerre che prendono distanza dalla vita, perchè l'emissione è così ridondante da determinare uno stato di coma in cui dati confusi permettono solo l'affiorare delle parole più cupe, di cronaca nera, quelle urlate in neretto. È così che il 'quarto potere' di Edmund Burke, suicidandosi nella ricerca dello shock, si trasfigura nella quarta - o forse quinta, sesta, settima, innumerabile - debolezza della democrazia, quell'utopia di mondo ormai dimenticata. 
Resta un magma di informazioni scottanti che a volte prendono fuoco in autonomia e bruciano come negli omaggi a Burri (2000) a volte cercano un capro espiatorio, un corpo colpevole di niente, altre volte non dicono nulla, ma lasciano comunque nella mente quei fantasmi che si apprestano a disturbare il sonno, o a turbare quel lavoro di  faticosa cura quotidiana che ogni artista è condannato a compiere.  Palumbo eroicamente cerca di pulire le ossa dal sangue, di schiarire e chiarire quel 'colore semantico' sempre più buio con la sua amica e compagna di sempre, la biacca. 
Dopo gesti comuni come tagliarsi la barba o lavarsi la faccia, Palumbo cura le ferite del proprio tempo, i taglietti, le escoriazioni di un laico ecce homo che può ricevere tutto, ma a cui non è data alcuna possibilità di replica. Applica garze, pezzi di carta atti a tamponare l'emorragia di quel fluido interno inarrestabile, percepito dalla mente come zampillo, imprendibile, scivoloso, ma nello stesso tempo vischioso, appiccicoso. Sporco. 
Capita che nelle sperimentazioni e speculazioni riflessive di un artista, nel suo vivisezionare il pensiero in cerca di un'anatomia, si manifesti una previsione temporale, un'aruspicina. È il caso della prima serie di opere degli anni novanta che prevedono, nel trentennio d'oro dell'Europa d'occidente, quello sfarfallio di senso, lo sguardo perso sul televisore che durante la rassegna stampa mattutina perde il segnale, perde di interesse. 
È questo l'inizio di una vera e propria epica della crisi che ha coinvolto l'Italia e di cui Palumbo, testimone dei fatti, ha raccolto con pazienza le tracce, i pezzetti di mondo di ogni genere e specie, come la tessera di un mosaico che si è staccato da un'architettura di epoca fascista, ma soprattutto pezzi di giornali che ritornano come materia prima preferita. Andrea Zanzotto, in una memorabile intervista di a cura di Carlo Mazzacurati e Marco Paolini, ci ricorda che la storia nasce come giornalismo. Erodoto stesso potrebbe essere considerato un 'inviato speciale' in Egitto e in Medio Oriente. Palumbo, quasi in continuità con l'antica arte della storia raccoglie ritagli di giornale, o pagine intere dai quotidiani, quei misteriosi oggetti che, come ha notato Valerio Magrelli nelle Didascalie per la lettura di un giornale sono fatti di parole che scadono presto, dopo un solo giorno di vita. Ma dopo la scadenza affiora una vita diversa fatta di muffe e macchie, rinascite e rigurgiti di una storia che ricicla i rotocalchi per farne altro impasto retorico. Palumbo vive a Latina e in questa serie di lavori trascrive la metamorfosi della laguna pontina bonificata in epoca fascista, nella laguna mentale e globale di questo tempo stagnante. Ma va anche a ritroso, centuria l'illogico come un agrimensore dei processi mentali, traccia la mappa di un paesaggio interno senza cedere a facili tentazioni.
Come ricorda Zanzotto, c'è un'altra accezione diversa di storia, quella di Cicerone, l'opus oratorium maxime: l'interpretazione pericolosa delle tracce, dei segni geografici e dei fantasmi. Questi, attraverso la metamorfosi del racconto, possono trasformarsi e risemantizzarsi per giustificare il presente. 
Perciò va evitata ogni retorica diegetica e restituita invece la decadenza dell''Impero dei Consumi' attraverso i frammenti che incontriamo nel nostro vivere quotidiano, gli scontrini, i fazzoletti di vita, l'immondizia che noi stessi produciamo. 
Nihil-nada di Massimo Palumbo si oppone alla tentazione di ogni periodo storico di riscrivere tutta la storia in funzione di se stessa e di preparazione al grande evento del suo oggi. L'artista non rinuncia alla possibilità di un'utopia concreta alla Latouche per tracciare una linea e ricominciare da capo, con la coscienza del fallimento, ma guardando con una necessaria sufficienza quel passato vissuto e prossimo in cui in fondo non è successo niente, nihil, nada.

Michele Porsia 
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Michele Porsia è artista e architetto 
attualmente vive
a Kassel presso Documenta per un dottorato di ricerca
Madrid 5 giugno 2017




Massimo Palumbo, opere inedite nel Círculo de Bellas Artes di Madrid
La mostra consta di opere per lo piú inedite, al contrario della precedente retrospettiva di piú di sessanta opere, realizzate tra il 1975 e il 2015, presentata nel marzo 2016 a Barcellona, in due differenti sedi: il Reial Cercle Artístic e la Casa degli Italiani. Tutte le opere si muovono su un percorso unitario, caratterizzato da arte ed architettura,  ambito, questo in cui Palumbo realizza la propria formazione come architetto. Si tratta di “un viaggio unico” - secondo la definizione dell’artista stesso – portato avanti con passo costante in spazi che, non solo non si escludono, ma, al contrario, si sostengono a vicenda, integrando le riflessioni  sulla materia e la memoria dei luoghi, delle persone e delle cose, l’impegno civile e il piú autentico rispetto dei valori di identità e collettività. Un valore sociale dell’Arte che purtroppo appare sempre meno presente nelle manifestazioni piú note del settore, come ARCO in Spagna o La Biennale di Venezia in Italia.
Fin dagli anni dell’Università, Palumbo si è interessato all’arte e alla possibilità di alternare creatività e pratica dell’architettura, dedicandosi alla realizzazione di innumerevoli serie di disegni, studi su carta, collages di tecniche miste. Nei primi anni novanta crea una poetica personale che gravita attorno alla bidimensionalità della tela ma aprendola a nuovi sviluppi con l’inclusione di materiali diversi e la scelta, voluta, di un colore (il bianco) che in potenza racchiude la possibilità di numerosi sviluppi e significati. Una semplicità essenziale e rigorosa che non di rado rappresenta la cifra di un racconto etico e politico.
La riflessione di Palumbo sull’architettura parte da un linguaggio lineare, sviluppato in una modalità non monumentale che, in varie occasioni, rivela il riferimento a una utopia che desidera inquadrare sulla tela gli spazi urbani con forme e archetipi. I suoi lavori piú noti si riferiscono all’arte inserita nella città e nel paesaggio. Un’arte frequentemente basata sulla presentazione, sotto forma di bozzetti dell’artista,  di documenti relativi ai recenti interventi sul territorio italiano e alla incessante promozione di attività culturali che realizza attraverso Kalenarte, un progetto che, dal 1990 arricchisce il territorio molisano di Casacalenda (Campobasso) di arte urbana progettata per la collettività.
Il percorso artistico di Palumbo è quindi frequentemente rappresentato da disegni, dipinti, istallazioni e collages di materiali etereogenei, spesso poveri e riciclati, come appare chiaro nella mostra di Madrid, che manifestano un importante collegamento con l’Arte Povera italiana.
Le opere che presenta nel Círculo de Bellas Artes di Madrid, grazie ad un accordo di collaborazione che abbiamo con questa istituzione, denotano un debito formale nei confronti delle previsioni che, a suo tempo, definí e intuí Germano Celant, rinnovate da nuove situazioni e discussioni estetiche e sociali. Palumbo è un artista della riflessione che fonde differenti suggestioni teoriche. La sua opera recente si muove nella direzione di un diario molto attivo in cui analisti come il sociologo Zygmunt Bauman, recentemente scomparso, occupa una posizione di rilievo, con la sua analisi della modernità liquida. Un mondo contemporaneo e estraneo, in cui i ruoli sono mutevoli e la cultura si è venduta al mercato. A suo tempo ho letto La cultura como praxis (Barcelona 2002) e la Cultura en el mundo de la modernidad líquida (Madrid 2013). Pochi giorni fa, a Palermo, ho trovato nello studio di un amico La società sotto assedio, in cui la critica alla globalizzazione è feroce: “La storia, potremmo dire, si ripete, sebbene questa volta su scala molto maggiore. E altrettanto fanno la miseria e lo squallore umani che tendono a crescere e dilagare nel corso dell’emancipazione degli affari dal controllo político ed etico” (p. 71).
L’arte, forse, renderà umano questo mondo desolante.  E gli artisti, con le loro opere e le loro riflessioni, ne sono i responsabili.

Joan Abelló, 
critico e storico dell Arte. Dirigente del Reial Cercle Artístic di Barcellona.
Madrid 5 Giugno 2017
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photo by Riccardo Pieroni