L'altra sera intervistato in televisione, Massimiliano Fuksass pontifica su Corviale e sul quartiere Zen a Palermo di Gregotti.
"I quartieri generatori di dolore vanno demoliti" Diciamo subito che ci è sembrata singolare e talebana questa posizione, specialmente se si pensa che Fuksass sa bene che le responsabilità del degrado e delle emarginazioni in quei quartieri non sono frutto e responsabilità dell'Architettura, dell'Architetto. Una posizione scorretta e solo funzionale a conflitti per egemonie culturali in essere e personalismi che nulla hanno a che fare col problema vero. Corviale come lo Zen avevano ed hanno bisogno di servizi. Sono progetti incompleti. Bisognava da subito aggiungere servizi e mettere in essere la qualità del vivere. Tutti sappiamo compreso Fuksass che la politica, le amministrazioni locali hanno fatto finta di non sapere che una casa data, era tanto..ma non sufficiente a risolvere i problemi dell'urbano, del vivere. "Dare casa alla gente: quella era l’utopia degli anni ’70 ".
Mi sono ricordato al proposito di un' intervista di qualche hanno fa che mi fece Daniele Zerbinati. Tra le cose dette, si parlava anche di Corviale. Si un sogno per Corviale...
....un futuro da costruire: appuntamento con Massimo Palumbo,
l'uomo e l'architetto si raccontano di Daniele Zerbinati
." se hai delle visioni, devi saperle raccontare, o quantomeno ci devi provare a raccontarle a rappresentarle".
Un’altra intervista per conoscere la città di Latina. E’ la volta di un maestro: Massimo Palumbo.
Continuità e discontinuità
"Il mio è stato un percorso continuo e discontinuo, colmo di contraddizioni nate da una curiosità e da un interesse rispetto a valori sostanzialmente culturali. Nasco architetto, frequentai il liceo scientifico e scelsi poi l’architettura.. potevo mescolare i vari interessi che avevo curato durante gli studi, coniugare i tanti contenuti l'architettura con gli argomenti di altri campi, e questo mi piaceva...L’architettura, dopotutto, non è che lo specchio della società, la sommatoria di tanti discorsi legati a problematiche sociali, culturali, antropologiche, e ogni oggetto architettonico realizzato nella storia è tale perché riesce a rappresentare l’immagine di un’epoca, di un momento in cui l’uomo ha costruito il luogo dove vive e lo ha fatto portandosi dietro una serie di significati.
Questo mio essere colmo di curiosità diverse, mi porta a vivere alternativamente momenti di grande raziocinio e momenti fortemente irrazionali..
Epoca di sognatori
Personalmente ritengo di essermi formato in un momento particolare della mia vita, quei maledetti sei anni di università, meravigliosi, perché la mia generazione ha sognato. Molti di noi, hanno abbandonato il sogno; tanti altri hanno continuato a coltivarlo e lo fanno ancora: io appartengo a quelli che non riescono a rinunciare all’idea che quello è stato un periodo bello, particolare per tutta una serie di spinte che ci sono state e che avrebbero potuto, dovuto far avanzare la società.... se solo non fossero state bruciate, congelate, abortite.
E’ evidente che del buono si è fatto, perché, la realtà di oggi non è identica a quella della fine degli anni ’60, ma è sempre poco..
..bisognerebbe riannodare i fili e andare oltre, mettere sul tavolo bianco del fare la parola più importante, “futuro”, e su quella costruire una qualunque cosa..
Verso il futuro: l’utopia
..Insieme al progetto, l’utopia è ciò che costruisce la quadratura di un ragionamento: la rapporti al tuo pensiero nel momento in cui proponi qualcosa di apparentemente impossibile, irraggiungibile, ma che, portato avanti con costanza, raziocinio, impegno, fatica e tutta una serie di piccole grandi cose messe insieme, possono diventare realtà..
Ci sono delle situazioni che rappresentano la ‘tua’ utopia, in cui riesci a vederla tanto possibile che, quando poi la racconti può accadere che ti prendono per pazzo: del resto nel corso della nostra storia è evidente che ci siano stati momenti in cui qualcuno fu visionario, momenti di scarto. Renzo Piano che ti fa il Beaubourg, a Parigi: non era un’utopia, quella? Lo era, un’utopia realizzata e tangibile.
Per cui, non bisogna aver paura: se uno ha delle visioni, deve saperle raccontare, o quantomeno ci dovrebbe provare. Non importa che gli altri rispondano di non aver capito o che non vogliano capire, perché è grazie alle utopie che il mondo cammina. Momenti di cortocircuito, che non fanno la quotidianità, ma ogni tanto avvengono».
“Soli a Corviale”
"Sono stato coinvolto, da un gruppo di amici, nell’iniziativa di ristrutturazione del complesso di Corviale: un concorso internazionale, indetto dall’Istituto Autonomo Case Popolari di Roma. Intorno a quel nome sappiamo cosa c’è, pensiamo a quel che si è fatto o non si è fatto, e la mia generazione, anche rispetto all’architettura, ha sempre guardato a come l’uomo potrebbe e dovrebbe vivere. Dare casa alla gente: quella era l’utopia degli anni ’70. Proprio in quest’ottica, nacque il chilometro di Corviale.
Ciò di cui oggi Corviale ha più bisogno è il rientrare nella città, farne parte, raccontarsi come pezzo di un contesto immenso. Così, il segno è stato quello non di un sole, ma di due soli, perché mi piaceva giocare con le parole: “soli”, la condizione di chi, a Roma, è stato solo in un luogo per molto tempo, senza l’attenzione di chi avrebbe dovuto farlo sentire parte della città a tutti gli effetti".
..la mia idea era di rappresentare visivamente e fisicamente
quello che, in un certo senso, potrebbe essere visto come un altro obelisco..... : quando venivano realizzati a
Roma gli obelischi andavano a ricucire situazioni problematiche e ad individuare nuove centralità.."