Anche Giorgio Muratore ci ha lasciato e direi che è un periodaccio. Tante le volte che è venuto da noi a Latina, amava molto questo territorio, le città nuove Latina, Sabaudia, le altre ....
Sicuramente dobbiamo a lui, anche a lui, la rilettura critica delle città del novecento, rilettura che servì a cancellare ombre e dubbi sulle città del duce sottolineandone le qualità che tutt'ora sono da esempio per chi le analizza al di parte o nostalgie fuori della storia.
Con Giorgio Muratore abbiamo perduto un amico ed un grande storico del novecento, veramente ...non abbiamo paole, ricordiamo tra l'altro parlando in uno degli incontri che ci ha visto insieme... della difficoltà del fare la professione e Giorgio si
interrogava pensando all’ottimismo del progetto: “ ma ci sarà ancora
spazio per essere ottimisti?…
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Di seguito un ricordo di Duccio Trombadori che inquadra in modo esemplare la figura di Giorgio Muratore.
Ho perso oggi all'improvviso il mio caro, carissimo Giorgio Muratore. Aveva un anno meno di me. Ci conoscevamo da cinquant'anni, da quando frequentavamo le lezioni di Bruno Zevi nell'aula magna della facoltà di architettura in Valle Giulia. Giorgio era magrolino, allora. Ma aveva un sorriso pieno di ironica sapienza che tagliava e cuciva pensieri prima ancora di formularli in parole.
Era uno studioso pieno di scrupoli e attenzione filologica. Mai stato un pedante. E' diventato uno straordinario maestro per le migliaia di studenti che sono passati al vaglio della sua cattedra di storico della architettura.
Non ci siamo frequentati per anni. Ma non ci siamo mai persi di vista. Scambiandoci alla lontana pareri sui disastri urbanistici di Roma, la devastante crescita della incultura architettonica, il comune disgusto per le 'archistar', l'attenzione per la tradizione moderna italiana, il nostro fulgido razionalismo, le città di fondazione, l'esigenza di salvaguardare il patrimonio architettonico degli anni Trenta (dal Foro Italico all'Eur), e in generale la difesa della straordinaria sapienza accumulata nella storia edilizia delle nostre città.
Nato a Roma nel 1946, Giorgio si è qualificato come uno dei più lucidi intellettuali nel mondo della architettura italiana. Collaboratore di Ludovico Quaroni, Paolo Portoghesi e Tomàs Maldonado.
Ha tanto scritto e commentato su "Controspazio" e "Casabella", "Domus", ha collaborato alle pagine culturali dei quotidiani "La Repubblica", "Paese Sera", “Unità”, "Il Messaggero", ha curato mostre e pubblicato numerosi saggi sulla storia dell'architettura e l'urbanistica.
Fondamentale è stata la sua opera per valorizzare i 'cantieri romani del '900' dal Foro Italico al Palazzo dei congressi, da Sabaudia a Latina. La sua carriera universitaria si è svolta alla insegna di una originale linea indipendente e orgogliosa delle sue idee, spesso in controtendenza con la vulgata 'politicamente corretta'.
Giorgio era un uomo di sinistra. Ma non fu mai corrivo ai maggiorenti politici e per questo pagò prezzi che altri non hanno pagato. Non era un opportunista. Anche per questo ci capivamo e ci volevamo bene.
Lo ho incontrato e collaborato con lui dal 1999 al 2009 alla Facoltà di Valle Giulia, dove cominciammo da ragazzi e dove io tornai per una stagione di insegnamento di estetica. Lui era un 'barone', io un docente a contratto. Abbiamo fatto esami assieme, abbiamo condiviso il medesimo amore per le nostre passioni giovanili con la medesima idiosincrasia verso gli ignoranti, i politici saccenti, gli arrivisti del professionismo architettonico dai fianchi molli.
Aveva superato anni fa una brutta malattia. Ne ero felice. Lo avevo incontrato negli ultimi tempi in qualche serata al ristorante La Campana, dove si riuniscono da anni ogni venerdì vecchi amici architetti (da Franco Purini a Claudio Damato a Franz Prati a Gianni Accasto e altri). Non potevo immaginare che la morte me lo avrebbe portato via così all'improvviso. e così presto. Perdo un amico, l'Italia perde un intellettuale prezioso e onesto. Abbraccio fortemente la sua cara moglie Clementina Barucci,i figli e tutti coloro che lo hanno amato e lo piangono.
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