venerdì 5 giugno 2015

Shingle22j



Shingle22j
Biennale d'Arte Contemporanea di AnzioNettuno, al Forte SANGALLO di Nettuno 

curatore Fabio D'Achille
testi in catalogo di Marcella Cossu



 MAD, l’Arte è in Tavola. L’ A-chrome di Branzino di Piero Manzoni è servito

“Amo il cibo e amo l’arte. Come non unire le due cose se non nella ricerca di artisti, fotografi che hanno deciso di servirsi di alimenti per le proprie opere? Così ho deciso di condividere questo mondo fantastico, creativo e unire le due cose“. Così si esprime in una recente intervista Gualtiero Marchesi, noto gastronomo cultore dell’arte e della musica, autore di una sfilza di ricette calembour come appunto l’A-chrome di Branzino di Piero Manzoni, o il Dripping di Pesce di Jackson Pollock, sfoderando uno humour glaciale che sarebbe calzato a Marcel Duchamp.
 Di questi tempi peraltro il binomio arte-tavola, in Italia, ricopre un ruolo di primaria importanza, anticipando nel tema l’inaugurazione ormai prossima dell’Expo milanese. Ma, ancora, il revanchismo italico, correlato con la nostra capacità di risorgere più o meno  per tempo  dalle nostre ceneri come l’araba fenice, non ha mai smesso di puntare su tali due gloriose e incontestabili eccellenze della penisola, nemmeno nei momenti più bui dell’annosa crisi nazionale ed europea. Tutti ammirano e invidiano l’arte e la tradizione della cucina italiane!

Il cibo nell’arte, italiana e non: dai cicli romanici dei portali di battisteri e chiese padane, con raffigurazioni di mietitori e vendemmiatori all’opera, alle miniature tardogotiche dei taccuina sanitatis, araldici prontuari di ricette a base di erbe e piante medicinali, ai puzzle manieristici di uomini-vegetali dell’Arcimboldo, alle sontuose gastronomie delle tavole imbandite nelle nature morte del seicento, ai quarti di macelleria dei Carracci, alla contrastante essenzialità della “fiasella”, il cestino impagliato sulla spoglia mensa dell’“Emmaus” di Caravaggio, ripreso da Manzù in bronzi e maioliche, alla scomposizione spaziovolumetrica del tavolo con stoviglie di Boccioni, alle impolverate composizioni di bottiglie e “alzate” di Morandi, alle “ammucchiate” posatesche di Arman, e poi ancora le stoviglie sfatte di Spoerri, le scatole Pop delle zuppe Campbell di Warhol, gli hamburger giganti e flaccidi di Oldenburg.. la lista è  ancora lunga e incompleta.
Davanti agli occhi permane tuttavia il fotogramma di esili, evanescenti calici di cristallo in contrasto con la sanguigna, squillante rubedo dei vini: la sensualità della rappresentazione del vino su una mensa è forse infatti l’unico denominatore comune alle nature morte di tradizione italiana e fiamminga, generi entrambi di cui indistintamente abbondano le nostre collezioni museali di arte antica. 

L’arte nel cibo: tra i migliori cuochi, spesso vi sono proprio gli artisti, perché, paradossalmente, insofferenti ed incapaci di assoggettarsi a regole e canoni di barbosissimi manuali gastronomici, sono tuttavia pilotati dal loro stesso estro creativo nello sperimentare inediti accostamenti sensoriali, in una sinestesia tra gusto, olfatto e vista, tale da produrre risultati quantomeno non inferiori al sopra citato A-chrome di Branzino di Piero Manzoni. Ricordo al proposito almeno un paio di “storiche ed irripetibili” ricette del pittore romano Lorenzo Indrimi, risalenti ai primi anni novanta: risotto al fernet e frittata di uva bianca con spolveratura di caffè, davvero straordinarie. Irripetibili in quanto, proprio perché dettate dall’estro dell’attimo fuggente, non risultavano mai uguali tra loro.
La metafora dell’arte come cibo dell’anima: se Winkelmann sostiene che l’arte è un processo di sublimazione dell’individuo verso ciò che è superiore ed immanente, e arte e cultura si equivalgono e si interfacciano, allora, dobbiamo qui oggi  concludere con Massimo Palumbo che “con la cultura si mangia… mangiamo cultura”, titolo di una sua forte installazione per il Museo d’Arte Diffusa di qualche anno fa, preconizzante, nei vassoi ferrosi posati su traversine di binario e ricolmi di rosette calcinate debordanti di fette, anzi, pagine stampate della Divina Commedia, la valanga di  spunti, deduzioni, diatribe, dèja vu, avvicendatisi sull’affascinante binomio arte-cibo dai primordi al panorama dell’arte contemporanea

Marcella Cossu 
Storico dell’Arte, Galleria Nazionale d’Arte Moderna Roma








 Massimo Palumbo
 “con la cultura si mangia… mangiamo cultura”
2011
Installazione
ferro+pane+brani dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri
performance di Elisabetta Femiano





foto by Fabio MAD'Achille