venerdì 3 marzo 2023

poi, l'ispirazione sociale di Bacon

 





PER MASSIMO

Anna Cappelli      con Giada Prandi

Di Annibale Ruccello   Regia di Renato Chiocca   Scena di Massimo Palumbo

Quando un artista raggiunge la meta desiderata di un suo stile personale e inconfondibile, potrebbe dirsi soddisfatto, sebbene la soddisfazione non sia una condizione facilmente raggiungibile dagli artisti. In ogni caso, anche quando questo accade, l’artista deve continuamente affrontare, come in un’incessante battaglia, le condizioni diverse e difficili che la realtà dei fatti e le occasioni concrete presentano allo sviluppo del suo lavoro. Nella realizzazione, per lui insolita, di una scenografia teatrale, Massimo Palumbo è riuscito proprio nell’impresa di conciliare la sua personale visione del mondo e dell’arte con la messa in scena di un testo fortemente drammatico. Il testo è il racconto in prima persona dell’esistenza stessa di una donna nella realtà sociale di oggi, con le sue speranze, il suo dolore, le sue amare disillusioni. Il rigore e la misura quasi classica con la quale Massimo presenta sempre le sue opere e i suoi oggetti, che con precisa nitidezza centralizzano lo spazio nel quale si collocano, si scontravano in questo caso con il vero e proprio tormento con il quale la protagonista ha gestualmente e verbalmente dato forma alla sua narrazione.  Così, l’idea del cubo vuoto, disegnato nello spazio teatrale da sottili elementi metallici bianchi si è concretata nella leggera ma incancellabile presenza di una gabbia, paradossalmente aperta, ma in realtà invalicabile per la sua forza puramente concettuale.  L’efficacia di questa idea è, a mio parere, confermata dalla sua vicinanza alla pittura di Francis Bacon, che non ha necessariamente caratteri scenografici e teatrali, ma che in profondità ci rivela la sofferta solitudine e l’intimo agitarsi dell’anima dell’individuo, fino all’emergere di una deformazione fisica, in una prigionia che è quella di una geometrica indifferenza dello spazio che lo circonda e che pretende di essere razionale. Ed è quello che è accaduto in questa pièce, nella quale progressivamente la sofferenza del personaggio, il tremore del suo corpo, il contrarsi dei suoi gesti, il lamento della voce e persino i colori e le pieghe dei suoi vestiti accrescono nel tempo il livello tragico della rappresentazione e si stagliano contro l’indifferenza e la fissità temporale di un algido cubo bianco.   E tanto più interessante è il rapporto dialettico fra il dinamismo espressivo dell’attrice e l’immobile stereometria del volume cubico, riletti sullo sfondo della pittura di Bacon, se pensiamo che questo grande pittore è un tipico esempio di quella arte inglese ed europea di ispirazione sociale, che punta in modo talvolta spietato il suo sguardo sulla difficile esistenza di uomini e donne nel mondo moderno.

Andrea Lanini