venerdì 28 settembre 2012

wilmotte per piazza del popolo a latina



...l'ultima proposta per Piazza del Popolo a Latina 2006



Progetto per Piazza del Popolo a Latina 2006 –
Architetto Wilmotte

Il progetto vuole assolvere all’esigenza di valorizzare il patrimonio artistico e architettonico con la sistemazione dell’assetto urbano, Piazza del Popolo riveste un carattere di spazio urbano storico a cui si attribuisce il valore simbolico della fondazione di Littoria. La sua composizione estremamente rettilinea evidenzia completamente l’impianto urbano. Uno spazio longitudinale che proprio grazie alla sua forma svolge un ruolo di fusione tra la più austera Piazza della Libertà e la Piazza dei Bonificatori. Il progetto mette in risalto la vita collettiva e il pedone ne sarà il principale fruitore. Questa idea di assetto urbano alimenta una composizione dello spazio realizzata attraverso l’inserzione di una serie di linee parallele, proiezioni a terra delle arcate della Piazza del Popolo e facilmente riconoscibili grazie all’uso dei materiali quali il mattone e il travertino. All’interno di questo schema  l’avvicendarsi di elementi minerali, vegetali e acquatici, si alternano senza soluzione di continuità. Gli spazi verdi, infine, hanno una funzione specifica a seconda della scala del progetto: comfort per l’ombra, definizione dello spazio per l’individuazione di prospettive e degli assi visuali.
Notizie tratte dalla rivista “Ego” , N. 1 - 23 gennaio 2008.
 
 





mercoledì 26 settembre 2012

salvatore parziale per piazza del popolo a latina


 


intervista a 

COSTAS VAROTSOS
di Giorgio Bonomi

La monumentalità contemporanea della scultura di Costas Varotsos. Colloquio di Giorgio Bonomi con Costas Varotsos
da
TITOLO  

Rivista scientifico-culturale di arte contemporanea


Giorgio Bonomi Ho sempre pensato che, forse, tu esprima il meglio della tua poetica nella grande dimensione. Anche quando le sculture devono essere collocate in luoghi ristretti, come gli spazi delle gallerie, quelle non possono non “riempire” tutto l’ambiente. Il problema è, quindi, lo spazio. Questo è il “materiale” apriori della scultura, la quale è posta in un luogo che così viene modificato ma che, a sua volta, modifica l’opera stessa.
Le tue sculture pubbliche hanno questa forza: cambiano l’ambiente ed esse stesse sono “definite” – dopo il tuo lavoro – proprio dal sito, da ciò che qui avviene: per esempio Runner, posta in Piazza Omonia ad Atene, del 1988 o Anelixis del 1992, sempre in Atene in Piazza Interamerican, hanno già in se stesse una grande forza di movimento centrifugo, ma è proprio il traffico che si svolge là attorno che definisce e accresce la forza del movimento intrinseco alle opere.

Costas Varotsos   La dimensione di un lavoro dipende sempre dalle relazioni che stabilisce con le altre dimensioni che puntualizzano lo spazio intorno. Non si tratta di dimensioni numeriche ma di dimensioni che nascono dalla stratificazione storica e culturale dello spazio su cui devo intervenire: nella scultura è importante lo spazio intorno e l’energia che riesce a trasmettere, diventando parte della stratificazione storica e culturale del luogo dove è collocata.
Nella galleria le cose sono diverse: qui non c’è la dimensione dell’opera permanente. Le gallerie sono frequentate da un pubblico che è direttamente interessato all’arte per cui il dialogo è diverso da quello con il grande pubblico della città o della campagna.
Certo, nelle gallerie e nei musei mi diverto molto e mi sento più sicuro: ho vicino gli amici! Nello spazio pubblico, invece, sei da solo con il reale quindi anche più libero, infatti il tuo sguardo spazia libero cercando limiti dove aggrapparti e di diventare pure tu parte di quel reale. Senti il vento, la roccia, il mare, gli alberi, i palazzi, la gente che passa, le macchine, tutto è vivo, reale; cambia in continuazione, devi lavorare come un velista che cerca di trovare una sintonia con le forze in movimento ed usarle per arrivare all’obiettivo. Allora le dimensioni sono una cosa che nascono da tutto questo.

GB Le opere come Runner (Il corridore), oltre alla Nike di Samotracia, che appartiene al patrimonio visivo di tutti gli uomini ma ancor di più al tuo, essendo greco, mi ricordano moltissimo le immagini di Boccioni negli Stati d’animo, dove la figura diviene la personificazione del moto.

CV  Il corridore di Atene è nato nel 1988 , un periodo, devo dire, ottimista per la Grecia dove si sognava un futuro migliore; ed inoltre era un periodo in cui avevo intuito che il pensiero analitico della ricerca, anche se obiettivamente giusto, arrivava ai suoi limiti. Credevo che la sintesi dei frammenti della rivoluzione industriali fosse l’unica maniera per ritrovare un nuovo rapporto con il reale. Negli ultimi cento anni abbiamo creduto che il pensiero analitico ci avrebbe portato a sistemi di pensiero che, applicati alla realtà, ci avrebbero salvato, purtroppo erano condannati, con nostra grande delusione, al fallimento e a creare in politica grandi disastri. Il corridore non voleva esprimere un’analisi del movimento di una figura nello spazio ma la sintesi dei frammenti in un nuovo movimento, cioè il contrario del futurismo.
Per Il Corridore l’obiettivo era spostare l’energia fuori dal lavoro che, allora, diventava un pretesto. Nelle città guardiamo le cose con la zona periferica dei occhi, raramente leggiamo le cose, piuttosto ... le sentiamo, quindi il lavoro non deve raccontare una storia, ma deve diventare la storia e fare parte dello spazio: dovrebbe nascere dallo spazio e non mettere nello spazio un’idea, anche se obiettivamente giusta, così solo ha delle speranze di diventare veramente un’idea e non una ideologia.

GB  Recentemente, nel 2010/2011, hai dato corpo ancora più evidente alla forza dell’energia, penso a Tension-Energy, realizzata a Lucerna in Svizzera. Qui, un’alta asta appena piegata per la tensione e una lunga corda che va a raggiungere una sorta di parabolica, ben rappresentano l’energia, senza la quale non ci sarebbe movimento, in quell’attimo prima che questo abbia inizio.

CV  Il lavoro a Lucerna era il quarto lavoro di grandi dimensioni che ho fato in Svizzera. La Svizzera è un paese molto particolare: infatti, dietro la sensazione di un’organizzazione perfetta, c’è la difficoltà di controllare lo spazio, di unire due punti nello spazio; per loro è una tragedia, mentre per noi è molto più facile. Pure politicamente la Svizzera, sebbene abbia un perfetto sistema di democrazia diretta, poi arriva alla disperazione, per la difficoltà di arrivare da un punto all’altro a causa del complicato sistema di leggi analitiche che impediscono il rischio e il superamento dei limiti. Penso che sia un paese in cui, dietro al silenzio, c’è una grande tensione, una grande energia. Ecco: proprio questa grande energia e questa tensione avevo in mente quando facevo il lavoro che era assai complicato tecnicamente per le sue dimensioni e le terribili condizioni climatiche che ci sono in questa area, specialmente d’inverno.

GB Veniamo ai materiali. Tu li usi di vario tipo, dal vetro al ferro, dalla pietra alla plastica ed altri ancora, ma è soprattutto il vetro il tuo materiale d’affezione. Perché è “trasparente”, quindi “puro” e tale che non consente inganni? Perché non è così malleabile come gli altri? E poi, non essendoci una grande tradizione in Grecia relativa al vetro, ma anche nel resto del mondo, per la scultura non ti dimostri “innovatore” anche in questo?
Sei talmente “padrone” dei materiali che non solo li ambienti con grande forza nelle piazze, nei luoghi urbanizzati, ma riesci a fonderli, senza alcuna tentazione naturalistica, nella natura; penso soprattutto a due lavori che, con sicurezza, possiamo definire “capolavori”: il suggestivo Il Poeta del 1997 a Casacalenda (CB) e La Morgia del 1996/97 a Gessopalena (CH), questo vede l’unione, in maniera straordinaria, di due pezzi di montagna, spaccata con una forma a V dalle bombe durante la II Guerra Mondiale, con lunghe assi di vetro, che in tal modo diventano non solo una sorta di eccezionale “restauro” della montagna, ma anche un emozionante pezzo di cielo.
Ma ricordo l’incantevole Horizon del 1996, in cui abbiamo un prato solitario davanti al mare su cui, in linea retta, si posizionano numerosi “tondi” di ferro riempiti per metà con liste di vetro, creando una simbiosi tra cielo, mare ed opera, i quali così si con-fondono e ci impediscono di capire bene dove sia la natura e dove l’artificio.

CV Quando ho fatto, la prima volta nel 1983, Il poeta, a Cipro con la fondazione DESTE, credevo di essere l’unico artista che lavorava il vetro, ma quando più tardi sono andato a New York ho scoperto che esistevano molte gallerie che esponevano artisti che usavano il vetro. Io non ho niente a che fare con la loro maniera di lavorare il vetro; cercavo, molto prima del vetro, di trovare il modo di usare lo spazio come materiale, infatti avevo nella mente allora l’infinito concreto, erano gli anni ‘70 e vivevo vicino Pescara a Francavilla al mare, e pensavo che dietro e davanti al quadro non ci fossero spazi da conquistare ma spazi da unire in un terzo livello, quello dell’infinito concreto, attraverso un processo sintetico. Il vetro è arrivato con Il poeta attraverso un processo analitico: il poeta è fragile, il poeta è pericoloso, il poeta è suicida, il poeta è esplosivo, il poeta è energia, il poeta è spazio, allora il materiale “vetro” è arrivato come un contenitore di spazio che attraverso la stratificazione temporale mi ricreava di nuovo l’equilibrio spazio-tempo. È stata un’esperienza magnifica perché vedevo davanti a me nascere quello che avevo sognato a Francavilla al mare, cioè proprio ritrovare l’equilibrio tra lo spazio e il tempo. Credo che dopo la rivoluzione industriale abbiamo avuto una temporalizzazione dello spazio, perdendo, contemporaneamente, quell’equilibrio e dando una eccessiva importanza al tempo. Con Il poeta ho visto che era di nuovo possibile ritrovare la sintesi. Inoltre vorrei dire che non mi sento “innovatore”, quanto piuttosto “ritrovatore”.
Parli degli Orizzonti: sai che vengo da una cultura agricola-pastorale, per la quale l’orizzonte è un limite che puntualizza lo spazio. Il primo Orizzonte è nato a Salonicco nel 1990, in un periodo in cui si cominciavano a scorgere i limiti delle ideologie, era un periodo di crescita ma anche di malinconia per le certezze perdute, tuttavia, se per molti era una tragedia, per me era un “orizzonte” che mi appariva davanti e che cercava un significato, era il “niente”, poi è venuta La Morgia. Mi hanno chiamato a fare un lavoro in quel paesaggio bellissimo e mi era molto difficile scegliere sia il lavoro che il posto; questo era così bello che non osavo toccarlo, ero pronto a rifiutare la commissione ma, quando ho visto La Morgia, ho chiesto informazioni e mi hanno detto che la fessura nella montagna era stata causata da un’esplosione durante la Seconda guerra mondiale: allora ho detto aggiustiamo il danno fatto!
Devo però dire che sono stato fortunato perché ho trovato persone molto sensibili nella zona, come Antonio Delaurentis, che mi hanno aiutato moltissimo nella realizzazione dell’opera; Giorgio Persano, poi, ha sintonizzato la produzione del lavoro e molti amici hanno collaborato.
La Morgia era una sintesi di tanti pensieri e tante persone, era la realizzazione dell’opera totale che cercavo da molto tempo. In un modo magico, vicino al vento e alla montagna e con la storia reale, io, la gente dei piccoli paesini e gli amici abbiamo guidato una nave e siamo passati tutti insieme dall’altra parte: così siamo diventati persone migliori dopo questo lavoro.

GB Credo sia giusto sottolineare, per finire questo nostro bel colloquio, che con la crisi del “monumento” tradizionalmente inteso, molti artisti anche tra i più bravi non riescano, nelle opere pubbliche, a superare la semplice collocazione di un lavoro “prelevato dallo studio”, tu invece fondi città ed opera, natura e scultura, dove, come già abbiamo detto, l’opera modifica l’ambiente ma l’ambiente modifica anche quella, così alla consapevolezza del creatore si aggiunge la casualità del tempo e dello spazio, in una forte monumentalità contemporanea, o no?

CV La monumentalità oggi dovrebbe acquistare un diverso rapporto con la realtà sociale: è finito il periodo delle idee che provenivano dall’analisi della realtà, cercando così una verità che ci dovrebbe salvare! Abbiamo capito che la rappresentazione delle idee che il Rinascimento ci ha permesso di esprimere non sono sufficienti per organizzare la nostra realtà, era una “vittoria” verso l’equilibrio ma non la soluzione. Con l’ottimismo della rivoluzione industriale abbiamo dimenticato l’equilibrio tra il reale urbano e il naturale, è questo un obiettivo che bisogna cercare piuttosto nel Medioevo. Questo valore platonico non lo ha sottovalutato il Rinascimento e lo ha portato all’era moderna come valore assoluto. La verità si nasconde dentro le cose nella società, nella natura e nelle persone e non fuori.
Oggi la monumentalità dovrebbe trovare la sua dimensione politica, dovrebbe nascere dal reale e, con il reale, acquistare di nuovo la sua dimensione di equilibrio dello spazio-tempo, per non essere vomitata dalla realtà che vomita oggi qualsiasi cosa che cerca di manipolare ogni valore reale che le appartiene: la manipolazione oggi è nuda!




 
Il Poeta 1997
Costas Varotsos
foto by Kerem
1997
 
 

Il Poeta 1997
Costas Varotsos
foto by Loretta Isotton
2012


vittorio d'erme per piazza del popolo a latina




........proposte, progetti per  Piazza del Popolo a Latina

La "stoà" di Vittorio D'Erme



Progetto per Piazza del Popolo a Latina 1985 –
Arch. Vittorio D’Erme

Nel 1985 l’architetto Vittorio D’Erme formula, progettista del Piano regolatore di Latina insieme ad altri professionisti, elabora una proposta spontanea per la pedonalizzazione di Piazza del Popolo.
Si propone uno tralcio dalla relazione di progetto:
“…Si potrebbe magari riammettere il traffico in piazza, escludendo i due brevi tratti (senza negozi); di Via Emanuele Filiberto e di Via Duca del mare, che sarebbero raccordati sulla esistente strada opportunamente sistemata, compresa tra le poste e l’edificio rosso con i fornici. Tutto il traffico più mimportante, da e per il Corso della Repubblica, Via Diaz e Corso Matteotti potrebbe benissimo essere risolto in una rotatoria attorno alla pedana dei piccioni. Rimane così destinata ai pedoni quella parte di Piazza compresa tra i due edifici comunali ( il Municipio e l’ex Albergo Italia, ora sede di assessorati e biblioteca) ed il palazzo rosso verso le poste………………………
……….per definire meglio lo spazio riservato ai pedoni rispetto al rond – point delle macchine, si potrebbe impiantare lungo il marciapiede che va dal bar Poeta al palazzo comunale un doppio filare di alberi a foglia persistente e portamento espanso ( lecci p.e.) formando un viale lungo 95 m.
È questa la soluzione minima che tuttavia darebbe luogo ad una piazza sempre nuova e varia e viva perché vi convivono senza danneggiarsi il traffico e i cittadini……………………………………………
………perché non definire più esattamente le due funzioni della Piazza congiungendo i portici dei due palazzi comunali, anziché con alberi, con un porticato? Si otterrebbe quella che i Greci chiamavano stoà, una passeggiata protetta dai raggi cocenti del sole e dalle intemperie…..”

per il concorso di piazza del popolo a latina














LATINA
....a proposito del concorso per Piazza del Popolo alcune foto storiche

L’area oggetto del concorso d’idee, Piazza del Popolo, è la piazza centrale, il fulcro del sistema urbano radiocentrico della città di Latina, il luogo in cui si svolse la cerimonia per la prima pietra il 30/06/1932. La presente relazione descrive i tratti salienti della breve storia della Piazza in oggetto, nata contestualmente alla Città di Fondazione. Il primo piano urbanistico del 1932, elaborato dall’ing. Savoia e definito dalle architetture disegnate dall’arch. Frezzotti, definisce in tutta la sua chiarezza e linearità lo spazio e l’immagine delle tre piazze di fondazione: Piazza del Popolo (ex Piazza del Littorio), Piazza San Marco e Piazza del Quadrato.
Le piazze definite per collocazione urbana e per linguaggio architettonico diventano elementi fissi del nuovo Piano. Esiste una forte relazione tra il disegno delle piazze e quello del Piano, in particolare l’arch. Frezzotti vuole conferire alla piazza centrale, Piazza del Popolo, una forte immagine urbana in grado di sostenere l’intero sistema.
Le piazze sono concepite da Frezzotti come manifestazione dello stretto rapporto tra Architettura e spazi urbani: “le emergenze architettoniche sono funzionali al disegno della città, spesso legate all’impianto urbanistico attraverso portici e passaggi pedonali.Oltre che essere il baricentro fisico del nuovo piano, Piazza del popolo assume anche sin dal primo piano urbanistico il ruolo di centro politico-amministrativo, affidando invece il ruolo di centro religioso educativo a Piazza San Marco e quello commerciale a piazza del Quadrato.Tuttavia i primi edifici realizzati nel 1932, destinati al “Borgo Rurale”, esprimono un linguaggio dal sapore rurale (copertura a tetto, edifici limitati a due tre piani,ritmo uniforme delle bucature, etc…)  richiesto dal regime, lontano dal tono più celebrativo che la città assumerà più tardi, nel 1934 in relazione al nuovo ruolo di Littoria.
Nel 1934 Littoria diventa capoluogo di provincia, pertanto si affida all’architetto Oriolo Frezzotti il compito di elaborare un piano di ampliamento per dilatare  la maglia urbana e inserire i nuovi edifici e le attività necessarie per  un comune capoluogo di provincia.   Vengono creati  dei nuovi assi stradali e aggiunte nuove piazze e aumentata l’estensione dell’area urbana, racchiusa da un’anello stradale perimetrale (circonvallazione).
Gli edifici  progettati per definire le piazze e le quinte della città assumono un carattere nettamente diverso da quelli progettati nel 1932, in quanto risultano essere più imponenti , massicci e caratterizzati da un pronunciato monumentalismo, ( Banca d’Italia , Prefettura, Tribunale , Intendenza di Finanza).Tra i progetti elaborati per Piazza del Popolo, un primo studio Frezzotti prevede uno spazio ellittico che circoscrive una vasca d’acqua con al centro la torre Littoria, venne bocciato a favore di una piazza con un ampio spazio libero al centro, più funzionale alle cerimonie del regime.
Nel progetto definitivo della piazza centrale l’architetto individua un ampio spazio rettangolare circoscritto da edifici porticati, prevede la collocazione di un giardino e successivamente,solo nel 1939 la Piazza assume l’aspetto definitivo: su progetto dell’architetto viene realizzata la fontana centrale che ospita al centro la maestosa sfera in travertino, a sottolineare ulteriormente il fulcro dell’impianto urbano radiocentrico, e quindi il centro ideale di tutto l’Agro Pontino.

Disegnata secondo l’archetipo del Quadrato, dalla piazza rettangolare, si irradiano sei assi viari: è attraversata da Nord a Sud da un largo viale, mentre dai 4 angoli partono gli assi di collegamento principali tra il centro ed il resto del territorio comunale.
Attraverso ampi percorsi pedonali la piazza è collegata da un lato all’asse viario verso il Tribunale, dall’altro all’asse, Viale Italia, che conduce a Piazza del Quadrato.

settembre 2012

 


Ministero dei Beni e delle Attività Culturali –

 Direzione generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l’Architettura e l’Arte Contemporanee

Martedì 10 luglio 2012 alle ore 9.30 presso il  Complesso monumentale del San Michele a Ripa Via di San Michele 22 – Roma


Presentazione del volume:
Luoghi del contemporaneo
Gangemi Editore

 _ il MAACK,

Museo all'Aperto d'Arte Contemporanea di Kalenarte a Casacalenda_Molise , è parte integrante di tale ricerca.

Il volume raccoglie i risultati di una ricerca che il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali – Direzione generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l’Architettura e l’Arte Contemporanee – a seguito di una procedura di evidenza pubblica, ha affidato a IZI – società di consulenza specializzata nella ricerca applicata in ambito culturale.

La ricerca costituisce un aggiornamento della pubblicazione realizzata nel 2003 dall’allora Direzione Generale per l’Architettura e l’Arte Contemporanea (DARC) del MiBAC e si è posta l’obiettivo di censire, in tutto il territorio nazionale, i centri operanti nel settore del contemporaneo. Il volume, realizzato con la collaborazione scientifica dell’Associazione per l’Economia della Cultura, si propone di essere uno strumento utile agli amanti ed agli studiosi dell’arte contemporanea; esso contiene, sotto forma di agili schede descrittive corredate da immagini, una rassegna comprendente oltre 200 tra i più rilevanti centri per l’arte del contemporanea presenti in Italia. La selezione dei luoghi da inserire nella pubblicazione è avvenuta attraverso l’applicazione di rigorosi criteri metodologici, sottoposti al vaglio di un Comitato Scientifico che ha supportato il gruppo di lavoro durante tutta la durata del progetto.

Nello specifico sono stati inclusi i luoghi in possesso di una collezione di arte contemporanea e/o che organizzino periodicamente eventi di arte contemporanea; che siano aperti al pubblico con continuità e che intrattengano relazioni stabili con il settore pubblico.

 La giornata di presentazione sarà organizzata in due momenti. Una prima parte sarà dedicata alla presentazione del volume da parte dei ricercatori di IZI e dei dirigenti del MiBAC responsabili del progetto.

Nella seconda parte dell’incontro si terrà una tavola rotonda che permetterà ai funzionari pubblici, ai responsabili delle strutture, agli operatori del settore ed agli studiosi di discutere del futuro dell’arte contemporanea e dei principali problemi che interessano il settore.
 
 
 







................partiti con un pulmino, come un gruppo di scolaretti ... Massimo Palumbo e Nunzia ci hanno condotti in quella bella esperienza di inizio primavera.. a Casacalenda  per le vie del fantastico paese dove l'arte si è integrata con una sorta di alchimia... tra vicoli e piazze, tra pietre e giardini..
La primavera aveva condito il tutto con le sue fioriture e con i suoi colori... come non rimanere incantati e curiosi?....
Loretta Isotton

settembre 2012
video by Annamaria DeLuca



 
 

martedì 25 settembre 2012

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Intervista a Massimo Palumbo.
di Tommaso Evangelista


“Con la cultura si mangia…mangiamo cultura”.
 
Lo scorso 14 novembre è stata inaugurata ad Ardea a cura di Marcella Cossu e Fabio D’Achille presso la Raccolta Manzù, nell’ambito delle manifestazioni promosse da MAD Rassegna d’Arte Contemporanea di Latina, l’installazione “Mangiamo cultura, con la cultura si mangia” di Massimo Palumbo. Palumbo molisano d’origine “trapiantato”, come Manzù e molti altri, nell’ Agro romano è artista versatile “figura polivalente e complessa a cavallo tra architettura e ambiente, interprete ideale della concezione contemporanea dell’ecomuseo”; è inoltre l’ideatore e direttore del museo all’aperto d’arte contemporanea Kalenarte (di Casacalenda) e della ricca galleria che vanta opere dei più significativi artisti regionali e non solo. Il 18 febbraio, in occasione del finissage dell’esposizione dedicata all’installazione, si è tenuta ad Ardea una tavola rotonda dedicata al confronto tra la Raccolta Manzù intesa come museo legato al territorio e l’esperienza territoriale, che è andata ad arricchire il patrimonio culturale del piccolo paese molisano e del territorio circostante, attraverso i sedici interventi del Museo all’Aperto e le donazioni alla Galleria d’Arte Contemporanea “Franco Libertucci”. E’ stata l’occasione per far conoscere, anche al di fuori dalla regione, questa eccellenza culturale molisana che ha reso una piccola realtà civica esempio di museo diffuso per la valorizzazione territoriale. Abbiamo fatto qualche domanda a Massimo Palumbo sia in qualità di artista che di ideatore del museo all’aperto.

Cominciamo con l’installazione che porta un titolo forte e impegnativo e parte dal presupposto che con la cultura si “dovrebbe mangiare”. Come è nata e si è strutturata l’idea e come è stata recepita dai fruitori?


“con la cultura si mangia…mangiamo cultura” installazione 2011, si è vero il titolo è forte, significativo, hai ragione, ma non potrebbe essere diversamente. E stato per questo lavoro, lo è per altri. Opere di genere concettuali, spunti riflessivi, affrontati a volte in modo anche ironico, sull’ attualità sociale come “eppurepesa” (2010), “l’aria è irrespirabile” (1993), “spegniamo la luce” (1993) oppure “…un naufragio ci salverà” (1995). Tutti lavori che raccontano momenti della nostra contemporaneità, alla scala del personale, ma anche riferito a quanto di vissuto è intorno a noi. A titolo forte deve corrispondere un fare... arte forte e senza dubbi…per un messaggio forte per chi vede, per chi partecipa. Non è possibile, e stiamo negli ultimi mesi del 2010, che un ministro importante, di prima fila, un ministro della Repubblica dica: .....andate a mangiare cultura!. Questo mio lavoro nasce da questo episodio volgare, generatore di tagli, di soprusi che il mondo della cultura ha dovuto subire di recente e vuole riaffermare con forza al di là dell’ironia infelice del ministro, l’invito la necessità, di nutrirci di cultura, intesa come fonte di energia spirituale e bene di prima necessità, semplice ma essenziale, come può esserlo…. il pane. Per quanto riguarda il come, se i fruitori possano aver recepito l’idea, posso dirti che a me interessa il valore etico del fare arte….e faccio mio quanto detto da Vincenzo Scozzarella, Direttore Scientifico della Galleria Civica di Latina che a proposito di questo ma anche di altri miei lavori dice: “…contiene in sé un’impresa critica che punta anche sulla crescita dell’educazione dei visitatori…” .

 
L’idea base “Mangiamo cultura” si può prestare anche ad un’altra chiave di lettura che riguarda il concetto di consumo. Il trionfo dell’oggetto come esibizione del segno-merce è uno dei punti critici dell’odierno “sistema” dell’arte. Come si può superare il binomio economia-godimento?

 
No, sicuramente questa è una lettura che non mi appartiene. Personalmente diffido di chi propone segni-merce, e comunque a monte del mercato, il fare arte deve essere momento “etico” sempre, poi…. il mercato, quando c'è, se c'è. Mi rendo conto che si tratta di una posizione difficile...ma è così.

 
Parliamo adesso di Kalenarte. Come si è rivelato l’incontro-confronto con la Raccolta Manzù e quali spunti nuovi sono nati per Casacalenda? Ci sono elementi che accumunano queste due realtà?

 
Marcella Cossu Direttrice della GNAM Raccolta Manzù ha conosciuto il mio lavoro e naturalmente le diverse anime che lo compongono. Tra queste Kalenarte e il mio ventennale lavoro dedicato a questo progetto, la somma dei tanti interessi: l'arte, l'architettura, il paesaggio. Si scopre Kalenarte, Casacalenda, le sue potenzialità e si propone all'attenzione di quanti ruotano intorno allo GNAM Raccolta Manzù, una tavola rotonda ipotizzando un gemellaggio tra due territori diversi, ricchi di potenzialità. Il confronto tra la Raccolta Manzù intesa come museo legato al territorio, quello della campagna romana che nell'estendersi da Roma fino al Circeo ed oltre ha visto presenze significative di artisti che hanno legato il proprio nome a questi luoghi, ispirandosi e lasciando anche segni e tracce significative della loro presenza: Manzù, Cambellotti, Emilio Greco... altri. Da qui, un possibile parallelismo per una lettura capace di sottolineare l’esperienza territoriale di Kalenarte, che ha arricchito il patrimonio culturale di Casacalenda e del territorio circostante, attraverso i sedici interventi del Museo all’Aperto oltre alle donazioni alla Galleria d’Arte Contemporanea “Franco Libertucci”. L’occasione di questa Tavola rotonda è stata di eccezionale importanza per far conoscere, Kalenarte. Eccellenza culturale che ha reso una piccola realtà civica esempio di museo diffuso, capace di valorizzare un territorio non solo attraverso l’arte contemporanea ma anche tramite il sottolineare l'esistenza di un patrimonio naturalistico storico-artistico ed antropologico che lo caratterizza. Mi chiedi se sono nati nuovi spunti per Casacalenda.... In genere si semina, e se sono fiori, fioriranno si dice. Di sicuro ci sentiamo onorati di portare avanti questa incredibile esperienza e di doverci confrontare con nomi e situazioni che sono stati "miti " per noi, per la nostra storia. Voglio ricordare che già lo scorso anno in occasione del ventennale, abbiamo vissuto il privilegio di presentare Kalenarte, la sua storia, presso la Sala della Protomoteca in Campidoglio a Roma e anche quella fu una situazione esaltante.

“E’ quanto meno straordinario poter ammirare una raccolta d’arte moderna in un luogo così lontano dai centri d’arte e dalle capitali della cultura. Se ciò avviene, come è avvenuto, è certo un esempio di come si può progredire e affermarsi nel campo storico culturale”. Queste le parole di Achille Pace per il catalogo del ventennale. In qualità di ideatore e curatore delle rassegne di Kalenarte, tra le realtà di certo più attive nel panorama artistico molisano, quali sono le potenzialità di crescita per il futuro e quali i progetti in cantiere?


Abbiamo apprezzato le parole del Maestro Achille Pace e gli siamo grati per la vicinanza e la condivisione al nostro progetto. Si è straordinario, per il progetto, per il suo realizzarsi, per come si è potuto evolvere nel tempo. Dobbiamo ammettere che alla qualità del fare, del proporre, c'è testardaggine, ma cosa essenziale la condivisione di intenti per quanto riguarda "un bene comune". Oggi venti anni dopo si cominciano a vedere i primi frutti.


Un pensiero, infine, vorrei chiedertelo sulla situazione della cultura nel Molise, sulle criticità e i punti forti, e su dove partire per una seria programmazione culturale.

 
Oggi lo scenario Molisano pone all'attenzione di tutti noi la presenza di un importante attore: la Fondazione Molise Cultura, motore propulsivo per idee e creatività.... crescita. Da qui deve partire una seria programmazione culturale capace di mettere a sistema quanto il territorio esprime. Il Molise per quanto riguarda l'Arte Contemporanea ha progetti nazionali, internazionali che devono solo essere messi in rete. Bisognerà salvaguardare e potenziare le eccellenze esistenti, il Premio Termoli e la sua storia, Fuoriluogo a Campobasso per i contenuti e le proposte che ben sono state rappresentate ed animate negli anni, Kalenarte a Casacalenda con il Museo all'Aperto, per la unicità del progetto, la qualità e la coerenza nel tempo. Criticità per noi è la dispersione a pioggia delle risorse e disperdere il buono che già c'è. Il Molise, la sua cultura, il suo territorio possono essere posti all'attenzione di un palcoscenico più ampio, di valenza Europea. Un respiro sicuramente adeguato alle sue potenzialità. Oggi, la politica, le istituzioni e chi le rappresenta devono al più presto, prendere posizione, fare scelte e.... i momenti migliori possono essere proprio quelli di crisi o di grandi congiunture.

Tommaso Evangelista

marzo2012
 
 
 
 
 
 
 

venerdì 14 settembre 2012

per il concorso di piazza del popolo a latina



 
 
LATINA PIAZZA DEL POPOLO
2012
 


‘l’isola’
FINALIZZATO AL PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE
DELLA PIAZZA DEL POPOLO A LATINA


Caratteri generali dell'area di concorso
La Piazza del Popolo di Latina è il centro dell’impianto della città radiale sorta nel 1932 sul
luogo storico, detto ‘Cancello del Quadrato’, incrocio di strade pre-bonifica che conducevano
dai Monti Lepini al mare.
E’ una piazza difficile da vivere, una piazza progettualmente irrisolta. L’architetto Oriolo
Frezzotti, progettista di Littoria (nome fondativo della città), ne dovette elaborare varie
soluzioni prima della stesura definitiva, senza però raggiungere risultati convincenti.
Abitare una città del novecento significa rapportarsi con gli spazi in modo diverso rispetto alla
lunga tradizione architettonica italiana. Tradizione caratterizzata in gran parte da centri di
impostazione urbanistica medievale con strade e piazze di dimensioni limitate, e pietre locali
dal sapore caldo.
La città nuova nasce con strade larghe, pensate e previste per l’uso delle auto, e piazze
ampie, adatte principalmente alle adunate politiche dell’epoca in cui sono state costruite. Il
colore bianco del travertino domina e riflette la luce del sole.
La Piazza del Popolo è situata al centro dell’asse urbano Tribunale-Piazza del Quadrato. Un
asse complesso, la parte più progettata del sistema urbanistico radiale, su cui si succedono
gli edifici più significativi della città con viali alberati, quinte, prospettive e inquadrature
suggestive.
L’ampiezza della piazza non permette zone ombreggiate per il riparo dal sole estivo, battente
fino a tardi; i portici che la perimetrano, sono elementi architettonici chiaroscurali e non
luoghi di fruizione per l’incontro o la sosta. Così nel corso degli anni, la piazza ha svolto
semplicemente il ruolo di rotatoria e parcheggio per le auto. Il giardinetto all’italiana con
aiuole e pavimentazione con ciottoli di fiume e listelli di cotto, a fasi alterne, è ridotto
all’abbandono. L’ampio spazio pavimentato e deserto è luogo per manifestazioni di varia
natura, avulse dal contesto architettonico. Ma è anche vero che negli ultimi anni si sono
susseguiti eventi di carattere spontaneo che, pur senza un organico inserimento, sono
espressione di una volontà di incontro e scambio per la collettività.
Da molti anni si sperimentano fallimentari isole pedonali semplicemente interrompendo il
flusso del traffico con barriere amovibili, alimentando vivaci dibattiti tra i cittadini e categorie
commerciali.
Pedonalizzare una parte di tessuto urbano significa elaborare un progetto architettonico.
Pertanto il concorso si prefigge lo scopo di connotare la piazza principale della città, quale
spazio maggiormente rappresentativo di essa, attraverso lo strumento del progetto
architettonico nel rapporto con le architetture esistenti, con la forma della città. Un nuovo
approccio al traffico urbano attraverso l’introduzione di una mobilità integrata, tra veicoli
privati, pubblici, piste ciclabili, zone a traffico limitato e zone pedonali.
Un atto rifondativo che porti la vitalità di un nuovo uso quotidiano, di passaggio e sosta,
potenziandone la naturale vocazione di spazio aggregativo e di scambio. Un luogo di nuova
identità e riconoscibilità anche della città contemporanea.

mercoledì 5 settembre 2012


 
 
 
"eppure pesa" 2011
Installazione
MASSIMO PALUMBO
 
MAD ARTECONTEMPORANEA
 
Museo Cambellotti
Latina
luglio_settembre 2012

 



Photo by Marcello Scopelliti 

"L'acqua negata"







"L'acqua negata"
installazione stoffa cavo d'acciaio 2012
MASSIMO PALUMBO

MADPROCOIO 2012
MUSEO ARCHEOLOGICO PROCOIO LATINA





Presentazione del Libro La Città delle Immagini
a MOLISECINEMA
con Giacomo Ravesi,  Raffaele Rivieccio
intervento di Massimo Palumbo

Spazio libri. Terrazza del bar centrale:
"La città delle immagini, video, architettura e arti visive" di giacomo Ravesi. — CASACALENDA_Molise
9 Agosto 2012


LA CITTÀ DELLE IMMAGINI
Cinema, video, architettura e arti visive
di Giacomo Ravesi

Una volta i termini cinema e città evocavano – almeno nel senso comune – un immaginario piuttosto chiaro e consolidato. Ora non più. Figure emblematiche della modernità e dei suoi processi più caratteristici, la città e il cinema si ritrovano oggi in una complessa fase transitoria, che mette in discussione non solo la natura essenziale della loro struttura, ma soprattutto il senso della loro trasformazione.
Ruotando intorno al cortocircuito tra “immagini di città” e “città delle immagini”, questo libro vuole indagare i complessi cambiamenti occorsi nel panorama urbano e mediale contemporaneo, alla luce delle nuove forme percettive e cognitive, esperienziali ed estetiche emerse nel sistema degli audiovisivi attuali. L’analisi adotta una prospettiva comparatistica, mettendo in rapporto le trasformazioni dell’habitat urbano con quelle del panorama mediale contemporaneo, rintracciando una circolarità interdisciplinare di motivi, precetti e dispositivi espressivi tra i prodotti dell’architettura e delle arti visive odierne. Il campo d’indagine si estende in un arco temporale che va dalle avanguardie storiche alle arti elettroniche e digitali, dedicandosi in particolar modo alle manifestazioni sperimentali degli ultimi decenni e spaziando dal cinema all’architettura e alle arti figurative, dalla videoarte alla computer grafica, dall’insegna e dallo spot pubblicitario al music video e al VJ’ing, dalle installazioni alla performance fino alla Web Art. Immettendosi nella linea dei visual studies contemporanei, il testo utilizza e ricompone teorie e orientamenti estetici differenti che vanno dalle riflessioni tardo-ottocentesche e novecentesche di Simmel e Benjamin alle teoriche attuali sulla post-metropoli e sulla post-medialità, lavorando in un’ottica completamente interdisciplinare e intermediale, capace di coniugare il campo dell’indagine estetica, sociologica, antropologica con l’analisi circostanziata delle opere.
Attraverso l’analisi e l’avvicendamento di opere significative nell’ambito della sperimentazione artistica, questo lavoro vuole offrire una mappa iconografica della metropoli contemporanea concepita come un repertorio di simboli e immaginari del nostro tempo, utili per riflettere congiuntamente sullo stato della città, delle arti e dei media contemporanei e provare ad avvertire le loro possibili evoluzioni future.



LA METROPOLI DEL VISUALE
di Lorenzo Cascelli

Immagini di città o città delle immagini? Da questo gioco di parole muove i suoi passi il denso libro di Giacomo Ravesi, La città delle immagini. Ravesi, dottore di ricerca presso l’università Roma 3, con esempi provenienti dal cinema, dalle arti visive, dai video musicali, dal VJ’ing, analizza il perspicuo fondersi, nell’arte contemporanea, dei due sintagmi presenti nella domanda iniziale.
Con un forte background interdisciplinare, derivante da approfondimenti sociologici, antropologici e filosofici, Ravesi propone un’indagine analitica di come le immagini raffigurino, nel loro cammino evolutivo, lo spazio contemporaneo dell’odierna metropoli urbana. Un rapporto proficuo, quello tra immagini e città, che permette lo scandaglio del complesso panorama abitativo, consentendo, nello stesso istante, lo studio dei differenti e molteplici apparati audiovisivi -anche nella loro dimensione critico-poietica intermediale- e l’analisi di come noi li digeriamo, ovvero li percepiamo attraverso i nostri gusti estetici e le nostre capacità cognitive. E’ dunque la stessa configurazione artistica a riformulare lo spazio urbano.
L’immagine esalta il luogo-spazio urbano mostrando il fondamento di una vera e propria deterritorializzazione della visione, presupposto basilare della possibilità esperienziale e dell’esplorazione rappresentativa sia della metropoli che dell’audiovisivo. Immagini e città vanno avanti a braccetto per evidenziare le trasformazioni nella e della contemporaneità.
Entrando nel testo troviamo molteplici esempi artistici. Sicuramente fondamentale, come punto di partenza, l’idea che l’immagine sia finestra, vetrina sul mondo che rischia, costitutivamente, di cadere in una piena e infruttuosa autoreferenzialità, come avviene, ad esempio, attraverso una logica simulacrale e iperreale, nei video di Michel Gondry.
Interessante, nell’ultimo capitolo, l’analisi della trilogia qatsi del regista G. Reggio in cui il rapporto tra Uomo e Natura viene studiato mediante l’antitesi immaginifica di scorci metropolitani e paesaggi naturali (Koyaanisqatsi, 1983).
Con il “farsi musica” del visivo, la connessione suono-immagine-spazio si fa sempre più stretta. Ciò avviene, ad esempio, nel VJ’ing; dal montaggio cinematografico passiamo alla performance live. Nel VJ’ing, lo spazio metropolitano, attraverso le tecniche audiovisive, viene plasmato-prodotto per essere abitato, nella durata evenemenziale, dagli spettatori. Con il pubblico diviene quindi possibile instaurare un comune orizzonte di relazione-fruizione.
Non si tratta dunque di assumere un atteggiamento nuovo; si tratta, piuttosto, di concentrarsi sulle possibilità che offre la tecnologia per riorientare le nostre esperienze anestetizzate affinché esse possano riestetizzarsi. Il ritorno a W. Benjamin e G. Simmel, i quali vedevano nelle immagini riproducibili e nelle metropoli delle potenzialità sensoriali di cui usufruire, potrebbe costituire il punto di partenza per la nuova messa in moto della nostra aisthesis di fronte alle conquiste e alle sfide della tecnologia. Un esempio geniale di ciò può essere costituito dall’opera Megalopoli di Studio Azzurro (VII Biennale di Architettura a Venezia, 2000). Qui trentanove schermi sono attaccati su un muro lungo più di due campi da calcio; essi proiettano immagini da diverse metropoli, tutte “forme urbane differenti” assemblate, come dice Ravesi, a mò di mosaico elettronico indicante le contraddizioni sociali del mondo contemporaneo. Non si giunge così a una semplice quanto fuorviante sinestesia visuale, ma ad una reale interattività immaginifica e metropolitana di cui il libro di Ravesi è ottimo, chiaro e primo interlocutore.
LA CITTA’ DELLE IMMAGINI. CINEMA, VIDEO, ARCHITETTURA E ARTI VISIVE
di Giacomo Ravesi,
Rubbettino editore, Soveria Mannelli (Cz) 2011.