giovedì 29 giugno 2023

9.6.23

….del bello e del brutto.
Poi ti arriva una telefonata, ed è un invito a parlare, a partecipare ad una chiacchierata…ti invitano a dialogare in uno spazio_caffè come si faceva in tempi andati e in luoghi storicizzati… 
Il tema: MA POI LATINA è BELLA o BRUTTA!? 
Acconsentiamo. 
Ci saremo anche se a prima vista ti sembra …la solita boutade del bello e del brutto…
ma la città è alle soglie dei suoi primi cent’anni e ci si può anche provare.




Ci fa piacere riportare qui di seguito uno degli interventi:
ed è quello di 
PAOLO COSTANZO
Intervento il suo particolarmente interessante e puntuale nelle diverse parti
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PRIMO

È brutta e sfasciabile! (?)
Nel 2002, 19 anni fa, Fosco Maraini, novantenne (1912-2004) padre di Dacia, a fronte di un preventivato raduno dei no global a Firenze, in occasione del Social Forum e dopo i drammatici fatti di Genova, affermava che la "città andasse difesa ad oltranza", avanzando contemporaneamente una proposta "Per esempio perché non a Latina? È brutta, sfasciabile e vicina a Roma".
Tutto invece andò per il meglio e provò agli occhi del mondo intero che era possibile un dialogo tra le istituzioni e i movimenti, anche i più radicali nelle loro istanze di cambiamento. Firenze si confermò città del dialogo.
Comunque a Latina, accompagnato dall’avvocato Giorgio Zeppieri, il sindaco Vincenzo Zaccheo presentò in Procura l’atto di querela, per il reato di diffamazione, contro Fosco Maraini, contro il giornalista autore dell’articolo e contro il direttore responsabile del quotidiano "La Stampa".
Prima di lui Giordano Bruno Guerri, nel 1982, alla domanda se Latina fosse bella o brutta, rispondeva: “probabilmente è la città più brutta d’Italia… in nessun altro posto al mondo è possibile vedere, così concentrati, gli orrori della peggiore architettura fascista, del peggiore stile ricostruzione e della più selvaggia speculazione edilizia”.
Forse era arrabbiato perché avrebbe voluto curare lui il cinquantenario di fondazione della città, incarico che fu affidato invece a Riccardo Mariani.
Secondo voi queste sono sporadiche testimonianze di intellettuali snob, o sono invece un frammento di un gusto estetico più generalizzato, proprio di chi vive nelle città  cariche di stratificazioni e di testimonianze storiche?  
Vi riporto degli stralci di alcune recensioni a “Storia di Piera”, film girato da Marco Ferreri in Agro Pontino, nel 1982, nello stesso anno della dichiarazione Giordano Bruno Guerri.
Callisto Cosulich – “Paese Sera” – 5 febbraio 1983: “grazie ai fondali prestati da Latina e Sabaudia, con le loro orrende architetture fasciste che pongono le Città Pontine fuori dal tempo, come una caricatura di Brasilia”
Paolo Valmarana – “Il Popolo” – 6 febbraio 1983: “Latina e Sabaudia, quelle due città che sembrano morte, con quei loro palazzoni littori compatti, quelle piazze vuote, quell’aria sinistra e mortuaria” …
M. M. – “Bergamo Oggi” – 12 marzo 1983: “ambientazione voluta tra gli scorci architettonici di Latina, Pontinia e Sabaudia, squallidamente lunari nella loro concezione scenografica, sfondi ideali per questa storia di ordinaria follia”.
Quindi, giudizi netti e concordi nel loro accento negativo, ma che contrastano con l’idea che il regista aveva, trasportando la Storia di Piera dall’Emilia, dove era ambientata nel libro di Dacia Maraini e Piera degli Esposti, alla Pianura Pontina: 
“un’ambiente che il cinema finora quasi mai aveva toccato. Una zona tranquilla, morbida, in più punti tenera; l’ideale per raccontare una siffatta storia di famiglia e di donne…una rottura con i vecchi schemi – continua Ferreri – e dei personaggi in movimento che cercano, a contatto con la natura, con il sole, con certi sentimenti”. 
Ferreri, attraverso le immagini, costruisce una straordinaria città analoga, isolando spazi urbani e architetture di Latina, Sabaudia e Pontinia. Ne esalta il vuoto e gioca sul contrasto fra questi spazi silenziosi e disponibili e le poche persone che li sostano o l’attraversano, come nel caso della Schygulla, in abito rosso, che pedala libera e vitale, in Piazza del Popolo, certo distante dall’immobilità delle statue e dei manichini che abitano, invece, le piazze di De Chirico.
Con il regista ritroviamo ancora le persone vere, i volti e le atmosfere che ad esempio Rinaldo Saltarin, pittore pontino, aveva rappresentato nei suoi quadri molti anni prima, esprimendo lo stupore verso la profondità di uno sguardo, l’unicità di un profilo, le mani rugose di una vecchia donna. 
Il suo Mercato si svolge in una atmosfera serena, uno spazio aperto dove le persone si incontrano e possono colloquiare. Così era Latina, nel dopoguerra e così sono ancora oggi alcuni frammenti urbani delle città pontine di fondazione. 
Sono fondali squallidamente lunari o sono invece luoghi, città di nuova fondazione del Novecento dotati di un interesse generalizzabile?
Dobbiamo passare allora alla critica architettonica!
Sono passati 73 anni da quando, nel 1950, Bruno Zevi, nella sua Storia dell’Architettura Moderna, contrapponeva Sabaudia alla “vuota magniloquenza di Littoria o al falso folclore imitativo dei cosiddetti stili minori di Pontinia o di Aprilia”. 
Alcuni anni dopo nel 1964, Manfredo Tafuri, nel fondamentale libro dedicato a Ludovico Quadroni, riferendosi al rigore del gruppo Fariello-Muratori-Quaroni-Tedeschi, nel Concorso per il Piano Regolatore di Aprilia del 1936, scriveva che “il progetto esposto alla VI Triennale come unico quartiere moderno italiano reagiva all’insulso populismo ruralista dei Petrucci e dei Tufaroli”. 
Questi giudizi hanno pesato per anni nella cultura architettonica italiana e internazionale ed hanno dato argomenti a quel diffuso rifiuto del fascismo e di tutto ciò che il regime aveva prodotto nel nostro paese, influenzando contemporaneamente, il gusto e la percezione estetica delle persone e, in modo non secondario, le scelte progettuali di chi, dal dopo guerra in poi, si è trovato ad intervenire in questi luoghi. 
Riccardo Cerocchi, ad esempio, laureato nel 1955 e intervistato dal sottoscritto nel 1989, in occasione del volume sulla storia dello IACP di Latina, così si esprimeva: “A Latina c’era il deserto culturale e c’era il rifiuto della città fascista… La pianura era una palude non frequentata, con una povertà economica diffusa, fino alla fascia collinare… povertà di arti e di mestieri… mancanza di costruttori e di imprese… come una città di frontiera…
Fino agli anni ’60, tutto quanto era stato frutto del regime fascista – dalla ideologia alle leggi emanate, dalla produzione artistica alle opere realizzate – veniva odiato, disprezzato dalla gran parte dei cittadini”.
In altre occasioni Cerocchi manifesterà delle riserve e dei giudizi negativi verso la città di fondazione:  “doveva essere razionalista, secondo la cultura urbanistica e architettonica dell’epoca ( ben espressa nella quasi coetanea città di Sabaudia) e fu invece inquinata  dall’ambizioso sogno di Romanità, di autorità, di ordine, che caratterizzò lo stile fascista”.
Prendendo in esame ad esempio un altro progetto, quello della ristrutturazione della sede della Banca D’Italia, del 1970, dalla breve relazione: “L’edificio è ubicato sul lato orientale di piazza della Libertà, determinata spazialmente da altri edifici di varia altezza e di modesto valore estetico …
Vittorio D’Erme, nato nel 1920 e laureato nel mese di dicembre del 1946, uno dei primi architetti pontini, che già dal 1947 aveva cominciato ad esercitare la professione, anche lui non aveva un giudizio positivo sulla città, sulla sua forma urbana, sulla qualità degli spazi aperti e delle architetture.
Dalla sua Relazione in occasione della Commissione edilizia, di cui fa parte dal ’49, del 18 gennaio 1950: “il piano regolatore vigente è insufficiente ed errato… insufficiente perché, secondo l’art. 7 della legge urbanistica 1150, il Piano Regolatore Generale deve considerare la totalità del territorio comunale e non solo la cinta urbana; errato perché non prevede organici e ragionati sviluppi
È mal distribuito (piazze e uffici pubblici a caso) … Mal congegnato (viabilità confusa e schema radiocentrico medioevale) … Superato concettualmente (orientamenti errati, lottizzazione cinquecentesca a isolati e cortile) … Antieconomico (eccessiva area per strade e piazze e relativi servizi) …”
Quindi, tutti giudizi negativi e ben oltre gli anni ’60…
Il Piano Regolatore Generale, redatto da Piccinato, Valori, Carletti e D’Erme durante gli anni ’60, incarico 1962, poi riconfermato nel ’65, consegnato e adottato nel ’68, viene approvato nel 1972.
Negativo è il giudizio nei confronti del Piano di Oriolo Frezzotti.
Nella relazione si legge che “Latina ha solo trent’anni, è una delle città più giovani d’Italia, non ha monumenti, non ha tradizioni alle spalle” …
Il progetto prevede, ad ovest del nucleo di fondazione, sovrapponendosi ad esso,  la formazione di un centro direzionale, dove trasferire gli uffici comunali, nella zona compresa tra le industrie e le nuove residenze, come espansione lineare, secondo una sola direzione…
Poi ancora prescrivendo una nuova “sistemazione di Piazza del Comune per metterla in contatto col nuovo centro direzionale, accentuando la comunicazione con la Piazza del Quadrato, dove nasce la prima struttura direzionale, attraverso il viale Italia. 
La demolizione dell’edificio di abitazione, formato da tre ex case coloniche unite da due archi, apre la piazza del Comune verso il Palazzo delle Poste ed i suoi giardini, e perciò, viene a formarsi una continuità spaziale fra le due piazze”.
Quindi è evidente che si nega il valore, la forma e la funzionalità della città disegnata da Frezzotti.
In quel clima, influenzato ancora dal giudizio di Zevi espresso nel 1950,  in cui contrapponeva Sabaudia alla vuota magniloquenza di Littoria, in quel clima, in cui altri giudizi analoghi tendono a ribadire quella distinzione fra architettura fascista (espressa in forme classiche) e buona architettura antifascista (quella moderna), era prevedibile che in occasione del Concorso nazionale per il Centro direzionale, nel 1972, i lavori presentati e premiati prevedessero, quasi tutti, una consistente demolizione dei luoghi centrali e di diversi edifici pubblici della città di fondazione!
Ad esempio le poste di Mazzoni, il Comune, l’intendenza di finanza, l’ex Albergo Italia, la caserma dei Carabinieri e via demolendo … (Progetto Ottobre – menzione speciale – L’ Architettura n.6 ottobre 1973)
I professionisti sono quasi tutti romani- ma anche di Latina, i migliori attivi nella nostra città…                                                          Brutta e sfasciabile? Sembra di sì!

Però dai primi anni ‘70 lo sguardo, l’atteggiamento, l’attenzione della critica e della cultura architettonica nei confronti del periodo culturale fra le due guerre, andava cambiando e voglio citare solo un libro quello di Cesare De Seta, La cultura architettonica in Italia tra le due guerre, edizione del 1972, che ha accompagnato tutto il periodo della mia formazione universitaria.
La questione che si pone, oggi qui a Latina, presentando il libro, nel contesto di questa giornata di studio, la questione che si pone per i cittadini delle nostre città nuove, per gli amministratori, per gli architetti che vogliono riconsiderare le proprie architetture e i propri spazi aperti al fine di progettare il presente, la questione centrale che si pone, credo, non è più quella di legittimare in chiave storica questi interventi, bensì di esprimere un giudizio di valore soprattutto sulla qualità urbana che questi centri, eventualmente, ancora testimoniano.
Latina, Sabaudia, Aprilia, Pomezia, Pontinia, con la loro struttura urbana, sono luoghi capaci di interpretare la contemporaneità, di rispondere alle esigenze e alle aspettative dei loro cittadini? 
L’architettura del regime, come ha scritto Vittorio Gregotti nel 1985, “ci ha consegnato attraverso le città pontine il senso della città come insieme… anche se non dobbiamo dimenticare che essa è in gran parte resto misero e retorico di una tradizione ben più importante” dove qui, a Littoria, soprattutto nel Piano di ampliamente del 1934, ha  prevalso la linea di “chi riteneva la città come un’entità estetico-rappresentativa, campo di affermazione e propaganda di una data poetica monumentale”
Confrontando gran parte delle architetture realizzate in questi insediamenti con quelle qualitativamente più significative realizzate negli anni ‘20 e ‘30, in Italia e in Europa, non possiamo non confermare il giudizio di Gregotti. 
Tuttavia proprio questi interventi hanno contribuito non poco a caratterizzare l’Architettura del nostro paese, differenziandosi, ad esempio, dalle esperienze dei quartieri razionalisti nordeuropei e materializzando, invece, quella stratificazione di luoghi urbani che costituiscono l’elemento distintivo delle città italiane. Le piazze, i viali, gli edifici pubblici nei luoghi centrali, i campanili, il disegno della maglia stradale, hanno caratterizzato da sempre gli insediamenti realizzati e progettati nel nostro territorio. 
Temi e questioni di grande attualità. Qui a Latina ad esempio, acquisita da parte dell’Amministrazione comunale la sede della ex Banca d’Italia, si stanno sommando innumerevoli proposte sulle attività da insediare, ma non sembra che qualcuno si sia interrogato sullo spazio antistante…


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Le Città del Duce infatti, e quello che dei nuclei originari rimane, conservano ancora un carattere, una misura, un’articolazione che non emerge in analoghi esempi nordeuropei, né tantomeno nelle più recenti realizzazioni contemporanee. 
Dice Alberto Moravia che “lo stile fascista è ancora uno stile, anzi l’ultimo stile prima del non stile proprio della speculazione edilizia trionfante dagli anni ’50 in su”. 
Più che di stile però, sarebbe meglio parlare di struttura urbana, cioè “del senso della città come insieme, che l’architettura del regime ci ha consegnato attraverso le città pontine… anche se non dobbiamo dimenticare – aggiunge Vittorio Gregotti- che essa è in gran parte resto misero e retorico di una tradizione ben più importante”. 
Un’occasione per ricostruire la storia urbana della città, non più riferita solo agli anni della fondazione, ma in quelli dal dopoguerra in poi, attraverso proprio la conoscenza e l’interpretazione della produzione progettuale dei migliori architetti.
………
Vittorio Gregotti, nel 1985, scrive “del senso della città come insieme, che l’architettura del regime ci ha consegnato attraverso le città pontine… anche se non dobbiamo dimenticare che essa è in gran parte resto misero e retorico di una tradizione ben più importante”.
Molto pochi sono quelli che hanno cercato in questo senso di trovare le ragioni o gli antecedenti di certe scelte compositive, sottolineando eventuali soluzioni irrisolte sul piano formale e funzionale, anche alla luce della manualistica del tempo.
Non è un problema di stile, le piazze di Littoria-Latina, le attuali piazze del Popolo e della Prefettura, ad esempio, sono delle rotatorie automobilistiche, non favoriscono la sosta e l’incontro, sono luoghi irrisolti con le loro facciate e i loro portici senza bucature.
Tuttavia queste piazze e queste architetture rappresentano il carattere delle città nuove, ne segnano l’identità e insieme la differenza con la città contemporanea, quella degli ipermercati e delle periferie senza forma, quella delle megalopoli, delle città globali, quelle che pensano di dominare la complessità realizzando grattacieli sempre più alti, non avendo perso quindi la fiducia verso il dominio della tecnica. 

 
SECONDO INTERVENTO

anche sognare
L’altro giorno, in occasione del 50° anniversario della collezione d’arte moderna e contemporanea dei Musei Vaticani, Papa Francesco ha riunito oltre duecento artisti, tra scrittori, poeti, registi e musicisti, secondo il pontefice figure rilevanti della società grazie alle quali è possibile 
“sognare nuove versioni del mondo, a scandagliare la realtà al di là delle apparenze, a sottrarsi dal potere suggestionante di una presunta bellezza superficiale, complice dei meccanismi economici che generano disuguaglianze” 
Con la “la passione di creare … siete occhi che guardano e che sognano. Non basta soltanto guardare, bisogna anche sognare. Noi esseri umani aneliamo a un mondo nuovo che non vedremo appieno con i nostri occhi, eppure lo desideriamo, lo cerchiamo, lo sogniamo”. 
Ai presenti, fra i quali c’era Caetano Veloso, Amelie Nothomb, Niccolò Ammaniti, Roberto Andò, Alessandro Baricco, Marco Bellocchio, Ludovico Einaudi, Ferzan Ozpetek, Luciano Ligabue, Mogol,  Sandro Veronesi,  Simone Cristicchi, Alessandro Haber, Marco Paolini, Igiaba Scego, Susanna Tamaro, 
il Papa ha anche lanciato un appello sentito chiedendo di non dimenticare i poveri … perché anche i poveri hanno bisogno dell’arte e della bellezza. Alcuni sperimentano forme durissime di privazione della vita; per questo, ne hanno più bisogno. Di solito non hanno voce per farsi sentire. Voi potete farvi interpreti del loro grido silenzioso”.
Anche Papa Giovanni Paolo II, nel 1999, aveva preso un’iniziativa simile scrivendo una Lettera agli artisti.
“Questo mondo nel quale noi viviamo ha bisogno di bellezza, per non cadere nella disperazione. La bellezza, come la verità, mette la gioia nel cuore degli uomini…
La bellezza che trasmetterete alle generazioni di domani sia tale da destare in esse lo stupore; stupore che si fa ammirazione, ebbrezza, indicibile gioia.
E allora, abitando a Latina, camminando lungo le sue strade, sostando nelle sue piazze, nei suoi cortili, pedalando lungo i canali, osservando il Circeo, lì sulla duna, 
volgendo lo sguardo verso il mare e verso le isole e poi verso la collina, dilatando quindi la percezione e la frequentazione dei luoghi in un’area vasta, 
ascoltando un concerto di musica classica nel Castello di Sermoneta o uno di Daniele Sepe dal Belvedere, diventare spose o sposi nell’Abbazia di Valvisciolo
andare a teatro al Fellini di Pontinia, camminare lungo le sponde del Fogliano o perdersi nella fioritura del Giardino di Ninfa,
emozionarsi al Nicolosi, seduto in cerchio con i bambini del mondo
e poi tante altre suggestioni che ognuno di voi potrebbe aggiungere
Per tutto questo e se tutto questo suscita stupore, ammirazione, ebbrezza e gioia, allora possiamo affermare che Latina è bella!
E lo affermiamo perché spesso prevale una componente affettiva, legata ai ricordi belli che conserviamo nel nostro cuore.
Se invece ci poniamo ad una giusta distanza, con un’attenzione più oggettiva e razionale, allora, da cittadini, saremmo concordi nel rilevare che è sempre più difficile spostarsi, che il centro si è svuotato, che i servizi che dovrebbero essere più efficienti, che la manutenzione delle strade e dei giardini è sempre più complicata e inadeguata, così come la raccolta dei rifiuti.
Tuttavia non dobbiamo confondere la buona amministrazione e il suo funzionamento con la bellezza di una città, la morale con l’estetica.
Il tema allora, da architetto, è quello di considerare Latina in un contesto di area vasta, quello che ho provato ad evocare prima, “La Città pontina” e poi di ragionare sul tema degli spazi aperti, le piazze del nucleo centrale, nate come rotatorie, che quasi tutte bisognerebbe reinterpretare 
e poi quelle da progettare nelle vecchie e nuove periferie non ripiegati però nel mito della fondazione, di questa città del Novecento, come se non possa   essere altro che un museo statico e senza vita.
Mossi dal desiderio di ascoltare i bisogni e le aspettative dei vecchi e dei nuovi cittadini dovremmo anche qui a Latina, introdurre nuove forme del contemporaneo.
Alcuni di noi, con slancio etico, hanno già dato il proprio contributo.

Latina, 26 giugno 2023 / 
Paolo Costanzo *

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* Paolo Costanzo Architetto.